giovedì 25 luglio 2013

Alla ricerca di un posto nuovo per... l'Arco Bertucci

Borgotaro, Arco Bertucci



Il settecentesco Arco Bertucci, situato a Borgotaro nell'odierna Piazza Farnese, era la porta monumentale di ingresso al podere dei Conti Bertucci, che possedevano un grande vigneto che da lì si estendeva fino al fiume Varacola. Su di esso campeggia l'iscrizione latina: “Doctor Alexander Primo Bertuccius Anno Christi Ortus Posuit Sept. Post Saecla Decemq.”, che tradotta in italiano significa “Il Dottor Alessandro Bertucci, nell'anno primo dopo diciassette secoli dalla nascita di Cristo, pose (cioè eresse)”. Consultando l'archivio di Voce del Taro, e in particolare gli articoli pubblicati 50 anni fa, ci siamo imbattuti in un pezzo dedicato all'Arco Bertucci, e in particolare alle accese discussioni che in quegli anni si facevano, tra la popolazione, sulla possibilità di spostarlo in un altro luogo del paese, cercando un posto nuovo che fosse adatto “per un arco antico”.
L'articolo, firmato CAM, è datato 26 marzo 1961. Lasciamo la parola all'autore: “Accanto a villette moderne, alla vetrina di un nuovo garage che espone le ultime linee delle automobili e delle motociclette, c'è un arco vetusto del 1700, in pietra arenaria ancora solido e robusto, nella parte centrale, e un po' malandato ai lati. Quello che più colpisce è la mancanza di una sua giustificazione, isolato com'è in quell'angolo della piazza”. Ci si chiedeva quindi se non fosse il caso di spostarlo altrove, in un luogo che potesse valorizzarlo al meglio. Tanto più che esso era, all'epoca, “di proprietà del sig. Cacchioli”, il quale allora si era detto “ben lieto di poter spostare il monumento in un'altra parte del paese”.
L'articolo proseguiva elencando i vari luoghi dove sarebbe stato possibile “trasferire” l'arco: “C'è chi lo vedrebbe di buon occhio all'ingresso dei Giardini Pubblici (IV Novembre), ma la sua mole è tale che oltre a rendere dubbia dal lato estetico la soluzione, comporterebbe l'eliminazione di circa quattro dei grossi tigli, che costituiscono uno dei maggiori pregi cittadini, durante l'estate”.
Un'altra proposta “sarebbe quella di dislocarlo nel viale di mezzo dei tre che formano viale Bottego, ma la larghezza dell'arco è tale da farla scartare a priori”. Qualcuno aveva pensato di collocarlo “a Porta Portello, sul rettifilo che parte dal ponte di San Rocco e sarebbe un bel colpo d'occhio per chi arriva in paese. Ma sarebbe necessario spostare la pesa pubblica, non solo, ma l'arco recherebbe un sicuro impedimento al traffico”. L'ultimo progetto, “cui accordiamo la nostra fiducia”, - scriveva CAM - “è quello che lo vorrebbe sistemato in uno dei tanti ingressi al giardino Duca d'Aosta” (si tratta dei “giardini piccoli” o ortu d'l' mun'gh' ). “In questo parco […] si trova già un monumento antico, quello ad Elisabetta Farnese, di stile sobrio e perfettamente intonato, se non altro per la pietra comune usata dallo scultore. Si tratta di vedere il punto migliore che dia, col monumento posto al centro, il miglior colpo d'occhio, ma si può stare sicuri che l'armonia e il senso estetico rimarrebbero appagati”.





giovedì 18 luglio 2013

L'esploratore Vittorio Bottego e... Borgotaro





Tra gli illustri personaggi storici di origini valtaresi, uno dei più conosciuti è senza dubbio Vittorio Bottego. Suo padre Agostino, infatti, era un medico condotto originario della zona di Albareto. Quando Vittorio nasce però, l'11 agosto 1860, il padre si era già trasferito altrove, a San Lazzaro Parmense. Dopo aver iniziato gli studi a Parma, Vittorio si iscrisse all'Accademia militare di Modena, prima di frequentare la scuola di applicazione di artiglieria e genio a Torino e la scuola di applicazione di Pinerolo. Ne uscì ufficiale di Cavalleria. Nel 1887, non ancora trentenne, chiese ed ottenne di far parte del corpo di spedizione in Eritrea. In Africa iniziò le sue ricerche di carattere etnografico e geografico.

L'interessante materiale che raccoglieva lo inviava al Museo di Storia Naturale di Parma. Nel 1890 progettò un programma di esplorazione di alcune zone della Somalia, allora ancora sconosciute. La caduta del governo dell'epoca, però, gli impedì di proseguire.

Nel 1891 fu la volta dell'Eritrea meridionale. Mentre attraversava il tratto Massaua-Assab, primo tra gli europei, ancora una volta gli fu ordinato di ritornare.

Nel 1892 Bottego organizzò una spedizione più impegnativa che prevedeva l'esplorazione del fiume Giuba, che nasce in Etiopia e attraversa la Somalia. Il viaggio avvenne sotto gli auspici della Società Geografica Italiana, con l'autorizzazione e il concorso del Governo e quello personale del Re. L'avventurosa risalita verso le sorgenti del Giuba, nonostante gli assalti delle popolazioni locali e l'impervia natura del suolo, si concluse vittoriosamente, nel marzo 1893. Si penetrò anche nella misteriosa città di Lugh, fino allora considerata inaccessibile. Un interessante resoconto di questa esperienza fu affidato da Bottego al libro “Il Giuba Esplorato”, che forniva interessanti elementi geografico-scientifici agli studiosi.

Rientrato in Italia, fu accolto da festeggiamenti ed onori, ma egli aveva già in mente un'altra impresa, se possibile ancora più ardua e difficile. Già nel 1894 stilò un preciso programma di esplorazione per chiarire alcuni aspetti ancora sconosciuti della regione che si estendeva tra l'Alto Giuba e il lago Rodolfo e, in particolare, quelli relativi al corso del fiume Omo. Questa volta si sarebbe potuto avvalere del supporto di valenti specialisti, geografi, naturalisti, fotografi.

Nel luglio 1895 era già a Massaua, per preparare la spedizione che sarebbe partita nel mese di ottobre. Raggiunto il lago Pagadè, che ribattezzò Margherita, proseguì fino a raggiungere il fiume Omo, di cui poi seguì il corso sino alla foce, accertandosi del fatto che si immettesse nel lago Rodolfo. In seguito percorse anche le rive del lago, per accertarsi che non avesse alcun emissario. A dicembre 1896 prese la via del ritorno, ignorando però l'avvenuta crisi dei rapporti tra italiani ed etiopi, e nulla sapendo della sanguinosa battaglia di Adua, che aveva visto la disfatta delle truppe italiane. Così, la spedizione cadde in un'imboscata tesa dagli abissini a Daga Roba. Bottego non volle cedere le armi e tentò di aprirsi la strada con la forza, ma venne annientato dalle soverchianti forze nemiche. Morì nello scontro. Era il 17 marzo 1897. Non aveva ancora compiuto 37 anni.

Le vicende biografiche di questo personaggio, che abbiamo ricordato brevemente, sono piuttosto note. Forse non tutti sanno, però, che c'è un episodio che lega Vittorio Bottego a Borgotaro. Non si tratta, in questo caso, di spedizioni o di ricerche geografiche, ma di vicende di carattere... politico. Alcuni storici del passato hanno infatti sostenuto che, nel 1895, Bottego volle candidarsi nel Collegio di Borgotaro alle elezioni politiche, cercando di sfruttare la popolarità di cui godeva per essere eletto, ma che aveva fatto un buco nell'acqua. In verità, fu lui a rifiutare l'offerta. Lo spiega in una lettera inviata alla “Gazzetta di Parma” in data 17 aprile 1895: “Egregio Signor Direttore, da Borgotaro mi fu, senza alcuna mia intromissione, offerta la candidatura di quel Collegio con un indirizzo portante le firme di 41 influenti elettori, fra cui parecchie autorità. Potrò sempre provare che il signor Piatti non avrebbe accettata quella candidatura, se io non avessi rinunciato, perchè, appunto lui, per primo, aveva messo avanti il mio nome”.














sabato 13 luglio 2013

Angelo Berti - Le preghiere di una madre




Oggi pomeriggio, sotto i Portici di Palazzo Manara, abbiamo presentato il bel libro di Angelo Berti “Le preghiere di una madre - una storia vera”. Oltre all'autore, era presente anche suo padre Ugo Berti, 89 anni, protagonista della storia. La presentazione è stata curata, oltre che dal sottoscritto, dal Vice Presidente della Provincia di Parma Pierluigi Ferrari, presente anche a nome dell'Associazione “A. Emmanueli”.
Nel libro, l'autore racconta una storia vera, ma una storia che è avvincente, ricca di emozioni, di sorprese... proprio come un romanzo. E' la storia della propria famiglia, negli anni della seconda guerra mondiale; la storia di suo padre Ugo, di suo nonno Francesco, della nonna Maria, dei fratelli.
E' anche, per molti aspetti, la storia di un mondo che non esiste più, di una società ancora sostanzialmente agricola, che viveva del lavoro dei campi, della fatica, del lavoro manuale. Era un mondo fatto di serietà, di lavoro, di una profonda moralità, dove “quelli che contano sono i fatti, ed un uomo che non riesce a badare alla propria famiglia, non è un uomo”. Un mondo in cui, spesso, l'unica possibilità di migliorare le proprie condizioni è quella di partire, di emigrare in cerca di fortuna. Come fa suo nonno Francesco, che parte per gli Stati Uniti, e dopo lo sbarco e i severi controlli a Ellis Island, inizia a lavorare come lavapiatti per un dollaro al giorno, per poi, dopo tanti sacrifici, raggiungere l'ambita qualifica di cuoco.
E' anche un mondo in cui, se tuo fratello, rimasto in Italia, muore e la moglie e il figlio restano soli e bisognosi di aiuto, non si esita ad abbandonare tutto per tornare ad aiutarli, e la famiglia di tuo fratello diventa, da qual momento, la tua famiglia...
Questo mondo è quello in cui operano i nostri personaggi, e in cui opera Ugo, il nostro protagonista. Un giorno, però, un fatto sconvolge la vita di questa famiglia.
Il Vigile, la Guardia del paese, sale alla volta della loro casa, ed ha tra le mani una cartolina: è destinata a Ugo...
Sono gli anni della Seconda guerra mondiale, ma fino a quel momento, la guerra li ha soltanto sfiorati. Ugo deve partire per il servizio militare, per la guerra!! Ha solo 19 anni. Grazie all'alta statura e alla bella presenza, verrà destinato al Corpo dei Granatieri, e dovrà partire per Roma. Per fortuna il colonnello non ascolta le sue richieste, e non lo destina al corpo degli Alpini, allora impegnati nella tragica guerra di Russia.
I primi tempi le cose andranno bene, ma ben presto la situazione peggiorerà:
L'8 settembre, l'armistizio, la mancanza di ordini, gli eventi di Porta San Paolo sono alle porte...
Ugo correrà enormi rischi, rischierà seriamente di morire, ma tutto volgerà lentamente per il meglio.
Negli occhi la madre, a casa, col Rosario in mano, consumato dalle preghiere, continue, instancabili... Nelle parole di suo padre Francesco la testimonianza di una fede incrollabile: “Puoi dire che siamo stati fortunati... che la Madonna ci ha aiutati”.








venerdì 12 luglio 2013

1834: Terremoto in Valtaro





















Tempo fa mi era capitato di leggere, in due diverse pubblicazioni, il resoconto di un terremoto che aveva duramente colpito la Valtaro nel 1834. Non sono rari gli scritti del passato in cui si raccontano simili fenomeni, talvolta anche con dovizia di particolari. In questi giorni, però, in cui tutti abbiamo ancora in mente il tragico sisma che ha recentemente colpito l'Emilia Romagna, ho pensato di andarli a rileggere e di proporli alla vostra attenzione...

Il primo scritto (tratto dall'”Araldo della Madonna di S.Marco”), è opera dell'allora parroco di Pieve di Campi, che scrive: “Il giorno 14 febbraio 1834 un terremoto orrendo, che durò circa 10 o 12 secondi. scosse e spaventò quasi tutte queste montagne e in modo speciale danneggiò Borgotaro, Pontremoli, Guinadi e Ceppin-Pontolo. In questa parrocchia (cioè Pieve di Campi) si contarono più di trenta scosse, a Borgotaro ne sentirono più di cento. Io ero solo in una stanza in tempo del lungo e tremendo crollo e non mancai di avere la mia parte di terrore, ritirandomi verso il finire dell'urto ferocissimo sotto la porta che introduce nella contigua stanza”, poco prima “che la canonica si sconquassasse e quasi mi seppellisse sotto le sue rovine”. “A Borgotaro”, prosegue l'autore dello scritto, “furono rovesciati molti fumaiuoli (cioè camini), che rotolando dai tetti andavano a formare una tempesta di sassi che piombavano nelle contrade e per miracolo che nessuno vi perisse”. 



Più dettagliato risulta essere il resoconto dello stesso terremoto proposto nel “Ragguaglio particolareggiato delle ruine cagionate dal terremoto nel Valtarese ne' giorni 14 febbr. e susseguenti a tutto il 14 marzo 1834” tratte da “Il Poligrafo. Giornale di scienze, lettere ed arti” pubblicato a Verona dalla Tipografia Poligrafica di G. Antonelli nel 1835.

Leggiamo: "Non sono di poco rilievo i danni recati dal terremoto nel Valtarese. In Borgotaro non v'ha casa o fabbricato che non ne abbia sofferto o più o meno: scorgonsi per ogni dove muri screpolati o fessi (crepati), volte minaccianti ruina, tutti gli edifizi puntellati. Hanno sofferto guasto maggiore la Caserma de' Dragoni Ducali, l'alloggio dell'uffiziale comandante la Luogotenenza, il teatro Comunale, la casa del Comune e l'ex-convento di San Rocco. Il campanile della chiesa di questo Santo, posto oltre Taro è rovinato (crollato) per metà; quello della chiesa di S. Antonio (cioè S. Antonino) in Borgotaro stesso per tal modo malconcio, che fu forza atterrarlo (abbatterlo) in maggior parte con grave pericolo di chi intendeva all'opera"
Il terremoto, inoltre, colpì duramente anche le frazioni:

"In Brunelli e in Porcigatone, benchè fosse meno violenta, pur tutte la case vi hanno sofferto notabilmente. In San Martino, sì la chiesa che l'abitazione del parroco sono inabitabili. Maggiori danni in Tiedoli. Quivi le volte e i muri della chiesa parrocchiale non poco crepolati (crepati), mozza in parte e atterrata la statua marmorea di San Giovanni Battista che stava innalzata sulla faccia principale di essa chiesa. Fu anche sentita la campana della torre mandare spessi suoni durante il terremoto. Fu violenta più che mai la scossa in Rovinaglia, in Valdena e in San Vincenzo. In San Vincenzo crollate quattro case, la chiesa e il campanile”. L'epicentro del sisma veniva localizzato a Pontolo: “l'estrema violenza del terremoto sentita nel Comunello dei Santi Giovanni e Paolo di Pontollo... fa venire i più nell'opinione che quivi, anziché altrove, il terribile fenomeno abbia avuto sua sede principale ed origine”.
La terra continuò a tremare anche nei giorni seguenti, e si trattò probabilmente di scosse di assestamento: “continuavano i tremiti di terra ne' giorni venticinque, ventisei, ventisette e ventotto febbraio. Il giorno quattro del corrente marzo due scosse di terremoto si fecero sentire in Borgotaro”.
In quello sfortunato 1834 ci furono scosse più o meno forti anche in aprile, maggio, giugno, luglio e ottobre.

L'autore del testo da cui abbiamo tratto queste notizie conclude rivolgendo una preghiera al Signore, e ciò è indicativo della grandissima fede dei nostri antenati: “S'uniscono tutti i buoni fedeli con noi a porgere ferventissime preci all'Altissimo affinchè preservi i suoi devoti figli da sì rio flagello”





sabato 6 luglio 2013

"Il Palazzo del Diavolo" di Riccardo Fox presentato a Borgotaro

Oggi abbiamo presentato a Borgotaro, sotto i portici di Palazzo Manara, il libro “Il Palazzo del Diavolo” di Riccardo Fox. Era presente l'autore, appena giunto da Trento.
Il “Palazzo del diavolo” è un romanzo difficile da definire. Per certi aspetti è un romanzo storico, per altri è più simile a un romanzo giallo. Ci viene in soccorso l'autore, che nell'Appendice scrive: “Se qualcuno trae diletto nell'effettuare categorizzazioni, “Il Palazzo del diavolo” è un romanzo che... lo farà divertire”.
In effetti è proprio così. Al di là del genere, questo romanzo è molto avvincente e di gradevole lettura. Il protagonista è Matteo Ranzi. Lo incontriamo bambino, nella prima pagina del libro. Un bambino affascinato dalla storia della sua città, Trento, quella storia segreta che si cela nel sottosuolo, e che è ancora in larga parte da scoprire. Lo ritroviamo adulto, sovrintendente alle Belle arti, impegnato a controllare i lavori di ristrutturazione di un palazzo storico, Palazzo Galasso. Durante queste operazioni, sotto al pavimento ligneo di una sala al piano terra, viene scoperto un pavimento preesistente, di pregevole fattura. Dopo averlo portato alla luce, si scopre, in un angolo del salone, una lastra di granito di forma circolare che, una volta rimossa, svela la presenza di un profondo pozzo. La vista di quell'apertura turba visibilmente il direttore dei lavori. Una leggenda narra, infatti, che quel Palazzo è stato costruito dal Diavolo in persona in cambio dell'anima del committente, il quale, però, con un trucco, si tenne anima e palazzo. Il Diavolo, furibondo, se ne sarebbe tornato agli Inferi facendo un foro nel pavimento.
Il sovrintendente, calatosi nel pozzo, non troverà una scorciatoia per l'Inferno, ma qualcosa di altrettanto sconvolgente...
Il racconto principale prosegue, poi, intervallato con la narrazione di quanto accaduto al tempo del concilio di Trento, che come noto fu indetto dalla Chiesa alla metà del '500, per reagire alla Riforma di Martin Lutero. In parte si narrano eventi realmente accaduti, in parte d'invenzione, comunque fondamentali per comprendere le ragioni di quanto accade al protagonista.
Con l'aiuto di Clara, esperta di storia, Matteo si troverà a scoprire fatti storici dimenticati, insabbiati, che riguardano l'Inquisizione ma non solo.
Massimo Beccarelli
Un libro ricco di sorprese, di misteri, di colpi di scena. Un libro che ci presenta personaggi storici realmente esistiti, come l'imperatore Carlo V e il Cardinale Carafa, ossia il futuro Papa Paolo IV, il Cardinale Cristoforo Madruzzo... ed altri personaggi inventati dall'autore.


A questo proposito, il volume si conclude con una interessante Appendice di carattere storico, che ci aiuta ad orientarci nella lettura. In una seconda appendice, l'autore chiarisce quanto c'è di reale nelle vicende dei personaggi e quanto di inventato, fornendo anche interessanti alberi genealogici, che ci mostrano come si sia documentato in modo molto approfondito. E per concludere, come sia riuscito a scrivere un romanzo allo stesso tempo avvincente e ricco di spunti di riflessione...