martedì 23 dicembre 2014

Fumetti in un blog che parla di letteratura e cultura?



Fumetti in un blog che parla di letteratura e cultura, molti lo considereranno inappropriato. Che c'entrano i fumetti con la cultura?

Da sempre il fumetto è considerato un medium povero, un mezzo espressivo troppo popolare, buono per il divertimento di bambini o poco più (Anche se non è sempre vero, in Francia, Giappone e Stati Uniti, per non parlare della grande tradizione, anche politica, del fumetto sudamericano, il fumetto è considerato un'arte al pari di letteratura, cinema e musica).
Nel corso del tempo, questo pregiudizio ha portato persino a vere e proprie cacce alle streghe, come quella scatenata dallo psichiatra Frederic Whertham e dal suo saggio “La seduzione degli innocenti” del 1954, con cui l'accademico, con argomentazioni in certi casi al limite del delirante, cercava di dimostrare come il fumetto popolare fosse all'origine di ogni piaga sociale, dall'alcolismo alla violenza, diffusa tra i giovani statunitensi.
Tra i genitori delle buone famiglie americane si scatenò il panico, con manifestazioni di isterismo che portarono addirittura a roghi di fumetti nelle piazze ed assalti di folle di esagitati alle sedi delle più note case editrici pubblicanti Comics.
Si arrivò persino a discutere al senato leggi che limitassero la diffusione dei fumetti e ne sottoponessero il contenuto al ferreo regime di censura del Comics Code Authority, fino a portare, alla metà degli anni cinquanta, alla quasi estinzione del genere fumetto negli Stati Uniti.
Inutile dire che le suddette piaghe sociali non sembrarono risentire minimamente della cosa.
Come potremmo rispondere a questa selva di pregiudizi noi poveri amanti dei fumetti?
Beh, potremmo cominciare a dire che il fumetto, unendo testo ad immagini disegnate o dipinte, letteratura e pittura, ha una potenzialità artistica doppia di entrambe. 
Oppure potremmo appellarci al suo primato di più antica espressione di arte narrativa dell'umanità.
Prendiamo le famosissime grotte dipinte di Lascaux, con i loro magnifici tori, cavalli, e creature fantastiche dipinte dai nostri antenati cacciatori di diciassettemila anni fa. All'inizio si pensava fossero elementi di riti propiziatori tesi a garantire una buona caccia, poi i ricercatori si resero conto di come fossero in realtà la raffigurazione dei loro miti.
Proprio come le pitture rupestri degli aborigeni australiani che narrano le storie della donna serpente Kunia che inventò il boomerang, o i guerrieri delle incisioni su roccia della Val Camonica. Un racconto per immagini. Il primo fumetto della storia.
Potremmo anche parlare delle tombe egizie, decorate con storie e personaggi che parlano grazie a vere e proprie nuvolette in geroglifico! 
Quindi, forti di questi argomenti, possiamo andare a parlare di fumetti persino in un blog dedicato alla cultura “alta”, come quello del professor Massimo Beccarelli. L'occasione è stata una serie di incontri, organizzati proprio da Massimo, che nell'ultimo anno hanno portato a Borgo Val di Taro alcuni dei più noti esponenti del fumetto italiano, partendo dallo storico sceneggiatore di Tex, Claudio Nizzi, che ebbe il l'onere e l'onore (un compito da far tremare i polsi) di raccogliere il testimone del “Papà” di Tex, Gianluigi Bonelli, dopo il suo ritiro, passando per Moreno Burattini, sceneggiatore e curatore di Zagor e colonna portante della casa editrice Bonelli, per finire in bellezza con il mitico Gallieno Ferri, storico disegnatore di Zagor e uno dei massimi artisti del fumetto italiano ed internazionale.
E proprio dai fumetti Bonelli vogliamo partire per fare un excursus, tutt'altro che esaustivo, per carità, dei più grandi fumetti mondiali, nel tentativo di dimostrare che anche i nostri amati “giornalini”, sono, alla fin fine, un' espressione artistica che nulla ha da invidiare a qualunque altra.
E siccome siamo italiani, da chi cominciare, se non da LUI?

é incidentalmente incappato in due pallottole mentre cercava di rubarmi il cavallo...”

Il solo e mitico TEX... 
Ne parleremo nella prossima puntata! 

A presto,
Mirko.

lunedì 22 dicembre 2014

I racconti di Rita Santini: Cari ricordi del passato



Forse qualcuno, che ha letto distrattamente i miei racconti, avrà pensato che raccontassi fiabe, ma non è così. Raccontavo infatti un passato che non esiste più. Io sono cresciuta, come i bimbi di allora, sana all’ombra dei cerri, dei castagni, dei pioppi delle nostre valli. I miei amici, come me, erano giovani e spensierati. Correvamo allegri nel verde dei prati, inebriandoci col profumo soave dei fiori, all’aria dolce e primaverile; sognando come è giusto sognare quando si è giovani e giovani allora eravamo, ed amavamo il sorgere del sole dietro i monti, che quasi sempre ogni mattina s’annunciava radioso, accarezzando le colline circostanti. Una natura così incontaminata, che faceva giungere a noi l’aroma speciale che emanava il fieno appena falciato d’estate. 

In questo ambiente eravamo felici di vivere, di essere amici di tutti, di difendere e amare uomini, bestie e piante, cioè ogni essere vivente. Nella stalla osservavamo la luce tremula dell’acetilene appesa al soffitto che illuminava il quadro di sant’Antonio Abate, protettore degli animali. E poi correvamo ad accudire le bestie, che muggivano spazientite reclamando il pasto già dal mattino e non accettavano deroghe. Poi, dopo una veloce e frugale colazione, correvamo su in salita per oltre un’ora, carichi come muli, con la cartella e sottobraccio la fascina di stecchi per accendere il fuoco in classe; altre volte, col sacco pieno di pagnotte di pane in spalla per la merenda degli alunni, che i maestri, d’accordo con i genitori, ci facevano fare a casa nel forno dalle nostre madri, perché dicevano che era migliore. Così, correndo a perdifiato, rossi e affannati, giungevamo a scuola e salutavamo il maestro con profonda riverenza, poi, composti, ci sedevamo ad ascoltare lui che spiegava la lezione in un silenzio perfetto. Il nostro voto, in condotta e religione, era sempre 10 tutto l’anno. Regnava l’ubbidienza sovrana, allora, verso i genitori, i quali erano buoni ma severi; verso il parroco e il maestro, poi, l’ubbidienza era sacra. Ed erano costoro, per noi ragazzi, figure carismatiche, degne di lode, un buon punto di riferimento verso il bene.
Non è passato molto tempo, ma ora tutto è cambiato. Ci viene sovente da chiederci: questi bimbi, da noi generati, cresciuti nell’abbondanza, con un sacco di cose più di allora, e anche con maggiore istruzione e più libertà; così belli, curati, amati, seguiti ed ascoltati; hanno ancora il rispetto, l’affetto, l’amore verso il prossimo e verso Dio?



Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.


"La storia del Fumetto" su Lettore di Provincia



In questi giorni abbiamo proposto a un amico, grande appassionato di fumetti, di tenere una rubrica su questo blog. La proposta è stata accolta con entusiasmo e vedrà approdare su queste pagine una serie di contributi dedicati alla storia del Fumetto, quella che viene oggi definita "la nona Arte". Gli abbiamo dato libertà di scegliere gli argomenti da trattare e quindi ogni articolo riserverà delle sorprese...
Crediamo di fare cosa gradita, lasciando spazio di esprimersi ad altre voci e a nuove firme. Già da tempo il blog ospita i racconti di Rita Santini, che hanno riscosso largo interesse, e che continueranno ad essere proposti anche in futuro. E' l'occasione di avvicinare lettori diversi e nuovi e di raggiungere un pubblico più vasto. Continuerete comunque a trovare, ovviamente, anche i miei articoli.

                                                   
                                           Massimo Beccarelli

lunedì 15 dicembre 2014

Lucrezia Borgia, la perfida innocente




Lucrezia Borgia è, senza dubbio, uno dei personaggi più controversi della storia del Rinascimento italiano. La sua figura, per lungo tempo identificata come simbolo di perdizione e dissolutezza, va oggi rivista e rivalutata. Il libro di Geneviève Chastenet, “Lucrezia Borgia, la perfida innocente” (Mondadori, Oscar Storia) ripercorre la vita di Lucrezia e ci aiuta a comprenderne meglio le vicende, che vanno calate e lette all'interno dell'epoca in cui è vissuta.
“Menade scatenata, avvelenatrice, baccante, assassina, incestuosa: per molto tempo Lucrezia Borgia è stata il bersaglio privilegiato delle accuse più infamanti scagliate da romanzieri e poeti. Sulla figlia di Alessandro VI pesano da cinque secoli le più oltraggiose calunnie, senza che mai ne sia stata fornita la minima prova”.
Le parole di Chastenet sono sostenute dalla ricerche storiche, presentate in modo divulgativo e gradevole, da cui emerge che Lucrezia sembra essere più vittima che carnefice. Nata nel 1480, vive nel raffinato ambiente della curia romana, tra figli di cardinali e di nobili: “sapeva esprimere un garbato complimento in latino, recitare le egloghe di Petrarca, cantare accompagnandosi al liuto e danzare le figure più complesse”.
La fanciulla cresceva in bellezza e grazia, e non era una bellezza provocante, capace di seduzioni fatali, come hanno sostenuto alcuni autori, ma una bellezza caratterizzata anche da una certa fragilità, che si nota nei ritratti fatti dai contemporanei, come il Pinturicchio o Bartolomeo Veneto, e che oggi fa quasi tenerezza: “Il viso, ovale e armonioso, è espressivo e tenero, i grandi occhi chiari colpiscono per la luce interna che li anima”.
Cesare Borgia
Ben presto il padre, salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI, capisce che questa figlia, così bella e aggraziata, potrà fare la fortuna della casata. Lucrezia diverrà una semplice pedina di scambio, verrà promessa sposa diverse volte, e spesso le promesse verranno sciolte all'arrivo di un miglior partito. Giovanni Sforza, Alonso d'Aragona si susseguono come mariti, in un equilibrio di poteri che ora si sposta su Milano, ora su Napoli. Al centro Lucrezia, i cui desideri, per la ragion di stato, passano in secondo piano. E poi c'è la figura centrale del fratello, Cesare Borgia, il Valentino, che della famiglia Borgia è il vero perno. Temuto dallo stesso padre e dalla sorella, sarà lui a decidere spesso le sorti dei matrimoni e della dinastia, levando di mezzo chi gli era di ostacolo, per assecondare i propri sogni di grandezza, ambiziosi, smisurati. Idealizzato, come tutti sanno, da Machiavelli per il suo essere un principe senza tanti scrupoli, è una figura spietata, di grande violenza.
Il trasferimento di Lucrezia a Ferrara, dove andrà in sposa ad Alfonso d'Este, cambierà per sempre le sorti della fanciulla. La successiva morte del padre Alessandro VI e del fratello Cesare rappresenteranno per lei una vera liberazione. Era la fine della Roma dei Borgia, fatta di splendori e intrighi. A Ferrara, Lucrezia finalmente potrà godere di un po' di serenità, e sarà animatrice della Corte, dove accoglierà grandi letterati come Pietro Bembo e Ludovico Ariosto.
Quella di Lucrezia Borgia, in conclusione, è proprio una storia da rileggere, una figura da rivalutare senza farsi offuscare dai pregiudizi.




martedì 9 dicembre 2014

"Il Monte Penna", una storia lunga 20 secoli



“Sulle nostre montagne pochi luoghi posseggono una storia così articolata, complessa e anche curiosa come la foresta del Monte Penna”. Una storia lunga 20 secoli, che Giovanni Marchesi ha raccontato in un interessante volume: Il Monte Penna, frequentazione, conoscenza, antropizzazione, sfruttamento di una selva secolare.

Il Penna risulta frequentato dall’uomo fin dai tempi preistorici. Alcuni reperti, infatti, ci permettono di riscontrare la presenza “di attività di caccia e raccolta di prodotti naturali spontanei”(p.12) già nel corso dell’età neolitica. Il primo insediamento stabile dell’uomo risale invece all’età del Bronzo, è il cosiddetto insediamento delle Rocche di Drusco. 

Il Penna sarà poi abitato da popolazioni Liguri, fino all’avvento dei Romani, che li sconfissero ed occuparono il loro territorio. Interessanti alcuni aneddoti legati all’età medievale. I longobardi, ad esempio, sembra utilizzassero gli alberi del Penna per le loro cerimonie pagane. Nel VII secolo i monaci di San Colombano di Bobbio costruirono sul monte una serie di ricoveri per ospitare pellegrini, poveri e malati. 
A metà del ‘200 Ubertino Landi fece della foresta del Penna la sua selva “privata”. Da allora, e per secoli, “la selva del Penna fu proprietà privata sostanzialmente disabitata e destinata solo a una produzione limitata e pregiata di legname” (p.28). Facciamo un salto di qualche secolo, e arriviamo all’epoca napoleonica. A quel tempo, tutta la foresta del Penna era gestita dalla Prefettura di Chiavari. Nel XIX secolo la svolta: nel 1853 il versante emiliano della foresta fu ceduto a privati e da allora “conobbe una storia assolutamente singolare di sfruttamento industriale delle risorse boschive e minerarie” (p.39). 
L'autore del libro, Giovanni Marchesi
Nel 1853, infatti, il duca di Parma Carlo III aveva affidato al barone inglese Thomas Ward lo sfruttamento delle miniere e della foresta. Per consentire un rapido trasporto del legname, che serviva per lavorare i minerali estratti, fu costruita anche una ferrovia che collegava Piacenza al Monte Penna. Carlo III mirava allo sfruttamento delle miniere di rame, che risultarono però ben poca cosa. Alla morte prematura di Carlo, Ward cadde in disgrazia e perse tutti i privilegi ricevuti. 
Dopo varie vicissitudini, la selva fu acquisita dalla Società Foreste e Miniere del Monte Penna, che affidò la direzione dell’impresa all’italo-inglese Henry de Thierry. Egli stabilì la direzione dei lavori a Santa Maria del Taro. Era il paese ideale, per la sua abbondanza di acque e per la posizione, che era proprio al centro tra la foresta e quei villaggi che fornivano la manodopera. Paese poverissimo, nel corso di 30 anni divenne ricco di posti di lavoro. Abbandonata ben presto l’estrazione del rame, non produttiva, de Thierry si concentrò sul legname. Per trasportarlo, si costruì una teleferica, che divenne famosa, tanto da attirare visitatori che la osservavano ammirati. A de Thierry si deve anche l’apertura della strada del Bocco. 
Il complesso industriale di Santa Maria del Taro
Tutto questo fece di lui “un autentico benefattore per gli abitanti delle alte valli del Taro e del Ceno, che alcuni anni dopo videro addirittura sorgere a Santa Maria la prima fabbrica italiana per la distillazione del legno”(p.67). 
Nel 1897 nasceva infatti la Società Italiana per le Industrie Chimiche che si dedicava alla distillazione del legno di faggio, da cui si ottenevano sostanze di grande utilità. Il libro prosegue trattando della casa del Penna, del rifugio meteorologico, e di vari personaggi che hanno legato il loro nome a questa montagna: monsignor Scalabrini, Giovanni Mariotti, Giuseppe Micheli. Conclude il volume una serie di interessanti foto storiche.
                                        
                                       Massimo Beccarelli

lunedì 8 dicembre 2014

La storia di Giuseppe Brugnoli, il flautista di Toscanini



Giuseppe Brugnoli: chi era costui?

Brugnoli era un illustre musicista, nato a Borgotaro nel 1873 e morto all’Aquila nel 1952. È considerato uno dei più grandi flautisti del primo novecento, ed è stato il primo flauto della famosa orchestra Toscanini, oltre che dell’Orchestra del teatro Augusteo di Roma, prima di ricoprire lo stesso ruolo presso il prestigioso Teatro Metropolitan di New York. Era un musicista famoso, ed era un borgotarese. Le ricerche effettuate su questo personaggio dal prof. Gian-Luca Petrucci, titolare della cattedra di flauto presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, in collaborazione con l’Associazione di ricerche storiche valtaresi “A. Emmanueli”, hanno permesso di portare alla luce molte notizie interessanti. In primo luogo è stato possibile ricostruire l’albero genealogico del nostro personaggio. È risultato così che Giuseppe Brugnoli era il fratello di Tanisio e di Cecu d’Nanö, padre delle signorine che allora, a Borgotaro, tutti conoscevano col soprannome di “Mie”. A questo proposito bisogna ringraziare Paolo Romagnoli, che ha messo a disposizione molte immagini fotografiche di Brugnoli, che sono state rinvenute nell’abitazione delle stesse.
Nel corso delle ricerche sono emersi particolari sempre nuovi, e la figura del nostro flautista si è via via delineata. La pregevole ricerca del prof. Petrucci si è quindi concretizzata nella pubblicazione di un libro: Giuseppe Brugnoli, il flautista di Toscanini. Allegato al volume c'è inoltre un CD contenente un brano originale eseguito da Brugnoli circa un secolo fa.

Brugnoli, peraltro, non è stato il solo illustre musicista della storia di Borgotaro. Il paese, nel corso dei secoli, ha dato i natali ed ha ospitato illustri musicisti, da Giovanni Pacolini a Francesco Buccellati, da Francesco Picenardi a Carlo Gervasoni, senza dimenticare Giulio Mosconi, per anni direttore della banda. A quest’elenco vanno aggiunti ancora Louis Ferrari, Tony Murena, Lino Leonardi, John Brugnoli e Bruno Aragosti, tutti personaggi di grande rilievo, autori di composizioni famose e spesso di successo mondiale. Senza dimenticare il grande maestro Giorgio Gaslini, recentemente scomparso, che per qualche decennio, proprio a Borgotaro, ha trovato ispirazione per le sue composizioni note in tutto il mondo.




domenica 7 dicembre 2014

"Il Dio del cacciatore" di Michele Bottazzi



"Il Dio del cacciatore" è un libro molto originale, sia nello stile che nei contenuti. L'autore, Michele Bottazzi, è nato a Salsomaggiore Terme ed è laureato in Giurisprudenza. Come si legge sul suo sito internet, svolge l'attività di Consulente legale per società e privati ed è un Mediatore/Conciliatore professionista. E' anche un già affermato scrittore e un esperto di caccia, armi e munizioni, e collabora con le più importante riviste del settore.
Ho finito di leggere in questi giorni il suo ultimo libro "Il Dio del cacciatore" e, come vi anticipavo, il libro mi ha positivamente colpito. Si tratta di un libro scritto con un linguaggio elevato, forbito, e va letto lentamente, con attenzione, quasi assaporato in ogni sua parte. 
Una lettura a tratti difficile, che però riserva continue sorprese. Si nota il gusto per la parola esatta, giusta, precisa. Con le dovute proporzioni, ho provato il piacere che mi dava la lettura dei romanzi dannunziani; un piacere che passava attraverso lo spaesamento iniziale, ma che coglieva la grandezza di uno scrittore che sapeva usare davvero la nostra lingua, che ha un lessico ricchissimo ma che solo pochi sanno dominare. Il romanzo di Bottazzi è ricco anche di riferimenti al Mito e all'Epica classica, oltre che alla tradizione biblica. Il protagonista è un uomo che, ormai insofferente alle regole della civiltà, sceglie di andarsene e di vivere in un rifugio nei boschi. Una scelta consapevole, fatta da "un uomo troppo preso dal fare, dall'arrivare ed accumulare, che si sta spegnendo troppo in fretta". La scelta coincide con una rinascita, con "la necessità di ritornare a far parte della natura". Un ritorno alle origini, alla vita vera, senza tanti fronzoli, senza tante comodità, senza luce, senza acqua corrente: "Che bella potrebbe essere la vita, il sapore delicato delle cose semplici". 
L'autore, Michele Bottazzi
Una vera ode alla Natura, che si dipana un po' per tutto il libro, seguendo le orme di un cinghiale o osservando la bellezza di un bosco, l'acqua e l'aria cristallina, il muschio, la libertà.
La natura tuttavia è anche crudele, i pericoli sono in agguato ovunque. Seppure armato, il protagonista si troverà a rischiare la vita, e da cacciatore rischierà di divenire preda, in un mondo dove solo i più forti sopravvivono. 
Un libro, questo, che offre anche molti altri spunti, come le riflessioni profonde sulla presenza di Dio nell'universo: "Credo che il tutto non sia nato per caso, un'opera così grande non può sussistere senza architetto nè amministratore, credo che l'esistenza delle stelle non sia accidentale". E nonostante questo gli interrogativi più grandi restano senza una risposta: "Perchè Dio punisce chi nulla ha fatto di male a lui o ai figli suoi, perchè?"
Un libro molto interessante, in conclusione, che merita di essere letto, stampato da Erga Edizioni

                                                           Massimo Beccarelli

domenica 9 novembre 2014

Un mese da blogger per "Gazzetta di Parma"...


E' ormai passato un mese da quando Gabriele Balestrazzi e Andrea Violi mi hanno proposto di tenere un blog sul sito della "Gazzetta di Parma". Un mese di post, riflessioni, approfondimenti, all'insegna dei social network e della lettura. E' stato bello parlare di argomenti a cui tengo e che conosco bene, ma anche documentarmi e fare ricerche, per presentarne altri, nuovi, che potessero interessare i lettori. E così, tra i 10 libri di Facebook e Perfectbook, si è parlato anche del Premio "La Quara" per short stories, di #TWsposi e Superfred.
Colpito profondamente dall'alluvione che ha colpito Parma, mi sono permesso anche una breve incursione nella storia della città, ricordando la storica alluvione del 1868. L'ultimo post, di qualche giorno fa, è dedicato a "Coraggio e paura", il bel libro di Cristian Riva che ho presentato a Parma alla Libreria Feltrinelli lo scorso 30 ottobre. 
Vi ripropongo qui i link agli articoli, per chi se li fosse persi. Buona lettura!!


I 10 libri di Facebook e la diffusione della lettura

Perfectbook: dai tuoi sentimenti il libro perfetto per te

"La Quara": un premio letterario molto social

#TWsposi: ecco come twitter ha riscritto i Promessi Sposi

Corsi e ricorsi storici: Parma alluvionata (1868)

Superfred: un social network per scambiarsi i libri

Coraggio e paura: 10 piccole grandi storie di fine vita

venerdì 7 novembre 2014

"La vita", un libro di poesie di Giuseppina Latini



Queste poesie di Giuseppina Latini, poetessa di origini romane, raccontano la vita. La vita con le sue gioie e i suoi dolori, i suoi alti e bassi, l'amore, la rabbia, il riso e il pianto. Queste poesie dunque raccontano la "sua" vita, direte voi. É un'autobiografia poetica? Forse sì, in parte lo è. Ci sono tratti sicuramente autobiografici, ma la questione non è tanto quella di discernere quali sono gli elementi autobiografici e quali non li sono, quanto piuttosto di osservare che, tra le righe, ognuno di noi può riconoscere esperienze, passaggi della propria vita. Queste poesie assumono, dunque, in quest'ottica, un altro valore, un valore universale. E' la vita di Giuseppina, ma è anche la vita di ognuno di noi, e quando leggerete questi versi vi accorgerete di aver provato tanti dei sentimenti che vi vengono descritti, di avere vissuto le stesse situazioni, gli stessi momenti di felicità e le stesse delusioni. Una vita a volte difficile, ma affrontata con un ottimismo di fondo che fa trovare sempre le ragioni per vivere, per andare avanti, per affrontare tutto col sorriso, e con la convinzione che tutte queste prove rafforzano il carattere, perchè la vita, comunque, deve continuare. 
Giuseppina Latini e Massimo Beccarelli (Foto Agitati)
Una vita che è dono di Dio e quindi va rispettata, sempre e comunque. Sono poesie ricche di saggezza, ma non quella degli eruditi o degli studiosi, bensì quella nutrita dall'esperienza del vivere quotidiano. Sono poesie narrative, scorrevoli, quasi dei racconti in versi. Sono semplici, chiare, ed è gradevole lasciarsi trasportare dalla lettura.
É una poesia che “va verso la prosa”, per citare le parole del critico letterario Alfonso Berardinelli, ma non si tratta di un difetto. Il '900 ci ha insegnato che la poesia non è più soltanto fatta di rime regolari, rime baciate, e forme metriche precise.
Alcuni dei maggiori poeti italiani del secondo '900 hanno scritto poesie narrative. Pensiamo a Giovanni Giudici o ad Attilio Bertolucci, che ha addirittura scritto un romanzo in versi: “La Camera da letto”. Le poesie di Giuseppina Latini, seppur facendo le debite proporzioni, si possono idealmente collocare all'interno di questo filone.

mercoledì 15 ottobre 2014

Tanti incontri... tante belle esperienze...

Da quando ho iniziato a curare presentazioni di libri, ho avuto la fortuna di incontrare tanti scrittori, ma prima di tutto, tante belle persone. Spesso personaggi importanti, con lunghi curriculum alle spalle, con esperienze lavorative di altissimo livello. Scrittori da oltre 1 milione di copie vendute, giornalisti che hanno lavorato spalla a spalla con Indro Montanelli, maestri zen conosciuti e stimati in tutta Italia, grandi esperti di politica internazionale. 
E' un post diverso dal solito, un post essenzialmente fotografico, un post di ringraziamento a queste persone a cui, per vari motivi, non ho ancora potuto dedicare un post intero. Grazie davvero a tutti, mi avete insegnato che si può essere grandissimi eppure umili e alla mano.
Massimo Beccarelli con Marco Buticchi

Guido Mattioni e Massimo Beccarelli

Il maestro Tetsugen Serra e Massimo Beccarelli
Antonio Ferrari e Massimo Beccarelli
Massimo Beccarelli e Eleonora Aldani

lunedì 22 settembre 2014

"Lettore di provincia" sbarca anche sulla "Gazzetta di Parma"


Da qualche giorno, ho iniziato a gestire un blog sulla "Gazzetta di Parma". 

Andrea Violi e Gabriele Balestrazzi mi hanno offerto uno spazio sul giornale più antico d'Italia (è stato fondato nel 1735) e ho accettato con piacere. Dovendo dargli un nome, non potevo che scegliere "Lettore di provincia". Non abbandonerò, tuttavia, questo blog, su cui continuerò a scrivere, magari con minore intensità rispetto a prima. Spero che tanti di voi, che mi hanno seguito qui, potranno accompagnarmi anche in questa nuova avventura. Parlerò soprattutto di social network e libri, ma gli argomenti, come sempre, verranno fuori lungo la strada. 
Un grazie di cuore a voi tutti per la passione e l'attenzione con cui avete sempre letto i miei post, permettendo di superare le 18.000 pagine viste in meno di un anno e mezzo. Credo non sia poco, per chi parla soprattutto di libri e cultura. 

Di seguito potete trovare i link al nuovo blog e al primo articolo pubblicato:

Il mio blog sulla "Gazzetta di Parma"

I 10 libri di Facebook e la diffusione della lettura

lunedì 15 settembre 2014

"Nero Liguria" - Un'antologia tra giallo e "Nero"



Spesso ci capita di pensare, con una certa superficialità, alla Liguria come alla terra delle vacanze, del mare, del riposo estivo, della luce. Chi la conosce meglio, sa invece che la Liguria ha un'anima fatta di luce e ombra. Lo scrittore savonese Daniele Genova ha colto bene questi aspetti contrastanti della terra ligure: “Non è possibile raccontare la terra di Liguria, se non così: a colpi di luce, giochi d'ombra, rapidi tocchi di pennello”. E l'ombra è rappresentata, tanto per fare un esempio, dai tanti fatti di cronaca nera che l'hanno vista protagonista. Basti pensare al serial killer Donato Bilancia, solo per citare il nome più noto, o alle vittime degli anni di piombo (Guido Rossa; i morti di via Fracchia). Senza dimenticare i casi ancora irrisolti, come quello di Nada Cella. Non è un caso, inoltre, che il cantautore più famoso di questa terra, Fabrizio De Andrè, sia il cantore per eccellenza dell'umanità diversa e “deviata”... 
Anche il cinema ha contribuito a fissare nell'immaginario collettivo il fascino maledetto di una città, Genova, che della Liguria è il capoluogo. Pensate a “Italia a mano armata” o “La polizia incrimina, la legge assolve”, famosi polizieschi anni '70.
La Liguria è anche una regione dove fioriscono innumerevoli storie e leggende, legate a vampiri, streghe, fantasmi, ai personaggi del mondo delle tenebre: si pensi al libro “Liguria Misteriosa” di Valerio Lonzi (Roma, Castelvecchi, 2010).
Non deve stupire più di tanto, quindi, un'antologia come "Nero Liguria" (a cura di Daniele Cambiaso,  Perrone editore), che si colloca nella scia di una tradizione che risale addirittura al romanzo d'appendice o Feuilleton ottocentesco “I misteri di Genova”, che si inspirava al ben più famoso “I misteri di Parigi” di Eugene Sue.
“Nero Liguria” è un'antologia che contiene 20 racconti, scritti da 23 diversi autori, che possono essere ascritti al genere Nero (la cronaca nera dei giornali) o al genere giallo o poliziesco. Sono presenti tuttavia contaminazioni di genere, e si riscontrano racconti di genere horror (basti pensare al racconto “Il vampiro di Triora”) o di fantascienza. 
Un libro gradevole, che piacerà soprattutto gli appassionati del genere, ma che andava presentato, perchè forse non ha avuto il successo che meritava.

                              Massimo Beccarelli

venerdì 22 agosto 2014

I racconti di Rita Santini: Il piccolo ombrellaio

Foto tratta da www.lacittavisibile.eu


Erano gli anni '50: era appena finita la Seconda Guerra Mondiale, e si viveva con parsimonia. Anche possedere un ombrello era una fortuna. Prestarselo uno con l'altro, all'interno della famiglia, era cosa comune. Anche in casa mia si faceva così, e a forza di passarselo di mano in mano, sovente si rompeva, e gli cadevano le stecche. Non si avevano i soldi per comprarne un altro e allora, quando si sentiva strillare “Ombrellaio!”, si correva fuori a cercarlo. Arrivava allora quell'uomo, con a tracolla un ombrello che aveva aggiustato, e appresso a lui un figlioletto di sette-otto anni, coi capelli rossi e il naso ricoperto di lentiggini; così carino, che era immediatamente simpatico a tutti, ma a noi bambini in modo particolare. Sentivamo suo padre sgridarlo sovente, e intimargli di aiutarlo ad aggiustare gli ombrelli; un lavoro da grandi, che di bello aveva solo la fatica, e poi il lungo cammino di casa in casa. Ci dissero che suo padre veniva dalla Toscana; mi sembra abitasse vicino Aulla. Mentre il padre aggiustava i pochi ombrelli che i nostri vicini gli portavano, il bambino giocava molto volentieri con noi, a pallone o a palla-prigioniera. Quando il padre lo sgridava, perchè non lo aiutava, lui si sfogava con noi e ci diceva che da grande non avrebbe fatto l'ombrellaio come suo padre, ma avrebbe cercato un lavoro migliore e sarebbe diventato ricco. A noi, queste parole, ci facevano sognare. Intanto giocavamo con un pallone fatto di stracci, e il padre del bambino, che a volte sembrava così burbero, in cuor suo era felice che suo figlio si divertisse con noi. Noi sorridevamo. C'era allora una sorta di spontanea complicità, che faceva sì che tutte le persone andavano naturalmente d'accordo: cosa che purtroppo non esiste più.
Spesso, giunta la sera, l'ombrellaio e il figlio si fermavano a mangiare da noi: il solito piatto di minestra di legumi, che a casa nostra non mancava mai. L'ombrellaio ci raccontava: “A casa mia ho altri tre figli da sfamare, e il cibo non basta mai”.
Alcuni anni dopo, io e i miei fratelli dovemmo emigrare in cerca di fortuna e, nei lunghi anni all'estero, ci dimenticammo dell'ombrellaio e di suo figlio. Al ritorno, i miei genitori mi dissero che, qualche tempo prima, era venuto al paese un bel giovane a cercare i suoi vecchi compagni di gioco. Aveva i capelli rossi, le lentiggini sul naso e, tra le mani, un bell'ombrello dal manico dorato e arabescato. Disse ai miei genitori che era tornato per mantenere una promessa che ci aveva fatto da bambini. A quel punto, noi ci ricordammo del figlio dell'ombrellaio e, chieste notizie, venimmo a sapere che probabilmente aveva aperto una boutique di lusso, dove venivano costruiti anche ombrelli. Quell'ombrello dorato è ancora nella mia casa di campagna, ed è il ricordo di un caro amico che aveva realizzato i suoi sogni.



Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.





                                                                 



domenica 17 agosto 2014

Barbara Zilocchi – Parma, il monumento a Giuseppe Verdi





E' stato presentato oggi pomeriggio, presso l'auditorium “Mosconi” a Borgotaro, il volume di Barbara Zilocchi “Parma, il monumento a Giuseppe Verdi” (Grafiche Step editrice). Tra un intervento e l'altro dei relatori, la Corale Lirica Valtaro, diretta dal Maestro Emiliano Esposito, ha cantato diverse arie verdiane con la consueta perizia e bravura. 
Il volume dell'arch. Zilocchi è senza dubbio di grande pregio e valore. Come noto, si è da poco festeggiato il secondo centenario della nascita di Giuseppe Verdi, e un libro come questo pone l'attenzione su aspetti importanti che riguardano Parma.
Non si tratta però di un libro d'occasione, ma nasce da studi profondi e appassionati, negli archivi e nelle biblioteche, a Roma e a Milano, solo per fare qualche esempio, e poi sull'archivio dell'arch. Lamberto Cusani, i suoi carteggi, i suoi disegni. Un libro che combina il valore scientifico alla gradevolezza delle grafiche Step, ed è illustrato con immagini d'epoca, planimetrie, bozzetti, progetti, talvolta anche inediti.
L'autrice ripercorre tutta la storia di questo monumento, fortemente voluto, nonostante le resistenze di tanti, dall'allora Sindaco di Parma e senatore del Regno Giovanni Mariotti. Un monumento che non era solo un omaggio al grande compositore, ma anche un modo per rivendicare il ruolo di Parma nel Risorgimento.
Un'opera corale, un lavoro d'equipe, a cui lavorarono congiuntamente l'architetto Lamberto Cusani e lo scultore Ettore Ximenes, oltre a molti altri artisti ed operai. 
Un grande monumento nazionale, che conferiva decoro e dignità alla città e ne costituiva un vero e proprio ingresso monumentale. 
Un'opera che fu anche occasione di sperimentazione tecnica, per l'uso del cemento armato, una costruzione “impegnativa e ardita”, che richiese 7 anni di lavoro e fu conclusa solo nel 1920. 
Sopravvissuta quasi intatta ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, fu però demolita nell'immediato dopoguerra. Difficile, oggi, capirne il perchè e tutte le spiegazioni e le ragioni addotte all'epoca lasciano comunque stupiti e rammaricati. E certo non possiamo non ripensare all'analoga sorte toccata anche a Borgotaro, seppure per ragioni e motivazioni diverse, a pezzi della nostra storia, come il Castello o il Teatro. 

Parma: Quel che rimane del monumento a Verdi 

Del monumento a Verdi oggi rimane, come noto, l'ara in bronzo e granito, ora situata in piazzale della Pace, che certo non rende l'idea del complesso monumentale di cui faceva parte. Rimangono in verità altri elementi, purtroppo poco noti alla cittadinanza, come le nove statue raffiguranti alcune opere verdiane visibili presso il cinema teatro Arena del Sole di Roccabianca, oltre ai venti bozzetti preparatori conservati all'Archivio dell'Accademia di Belle arti. Elementi che andrebbero fatti conoscere meglio e maggiormente valorizzati.

In conclusione, un libro molto importante, di cui si sentiva la necessità, e che contribuisce a conoscere meglio la storia più recente della città di Parma.

Massimo Beccarelli





lunedì 11 agosto 2014

12 agosto 2014: Un anno di #classicidaleggere



Il 12 agosto 2013 lanciavo, dalla mia pagina twitter, l'invito a proporre i #classicidaleggere, cioè quei classici che, secondo noi, erano da leggere assolutamente. Avevo proposto, alcuni mesi prima, un altro hashtag culturale, #iversicheamo, che era stato accolto favorevolmente dagli utenti di twitter, che si erano sfidati a colpi di citazioni e poesie. 
Nonostante ciò, non potevo di certo immaginare il riscontro con cui venne accolto il nuovo hashtag. Per tutto quel giorno e nei giorni successivi, il social network fu letteralmente invaso di tweet che proponevano consigli di lettura, suggerimenti, valutazioni, indicando classici consolidati o altri autori poco noti, del passato e del presente. Tanto fu il successo, che si raggiunse anche il numero 1 delle Tendenze in Italia, cosa che suscitò un certo stupore, poichè di solito tale posizione era riservata ad eventi politici o fenomeni musicali, oppure al gossip e al costume. Lo stupore fu tanto, senza dubbio, ma tanto fu anche l'entusiasmo suscitato negli utenti di twitter appassionati di lettura e cultura. Si sentivano anche loro, finalmente, protagonisti. Da quel momento si può quasi dire che twitter sia in parte mutato. Tantissimi hanno proposto altri hashtag dedicati alla lettura e alla cultura, tanto che ormai è difficile ricordarli tutti. Una cosa è certa, #classicidaleggere è stato uno di quelli che ha aperto la strada, e sarebbe bello ricordarlo, a un anno dal lancio. 


Volete partecipare anche voi a questo anniversario? E' facile!
Il 12 agosto 2014 dalle ore 21 alle ore 22 twittate #classicidaleggere... e condividete le vostre letture preferite!


Alcuni giornali e siti che hanno parlato di #classicidaleggere:


giovedì 7 agosto 2014

I racconti di Rita Santini: I frati "cerconi" e le formaggette


Quando ero bambina abitavo nel podere in campagna, poco lontano dal Borgo, dove allora mancava tutto: la luce elettrica, l’acqua corrente nelle case, il telefono e mille altre cose. I nostri giovani dovrebbero pensare un attimo a quali immensi benefici ha portato oggi l’arrivo di queste cose. Esistevano però altri valori ai quali tenevo molto, come l’amore per una famiglia unita: i nonni, genitori buoni e fratelli e sorelle affettuose. Si giocava con i cani e i gatti e anche le mucche ci facevano compagnia. Bastava un riccio, un topolino o uno scoiattolo, per farci fare le corse e un sacco di risate. Quando poi, nella stalla, nasceva un vitellino, per noi era una gioia grande e noi bambini ci chiedevamo come poteva essere nato già così gigante.
Vivevamo molto isolati, a quel tempo, e non veniva quasi mai nessuno a trovarci. Le poche persone che ogni settimana bussavano alla nostra porta erano le benvenute.

Una o due volte all’anno arrivavano da noi due frati anziani, che avevano due lunghe barbe bianche e portavano con sè due grossi cesti. Questi frati che, se non ricordo male, provenivano dal convento di Pontremoli, vestivano con un serio e modesto saio marrone accompagnato da sandali aperti senza calze e avevano viaggiato attraverso le montagne, anche con i climi più rigidi, sopportando grandi sofferenze, per penitenza ed obbedienza al loro ordine.
Erano mandati, dicevano, dal loro convento, per la cerca, e la loro frase, quando aprivamo la porta era sempre la stessa: “Per favore Marietta, ci date una formaggetta? Grazie!” Mia madre, che di nome si chiamava proprio Marietta, diventava rossa e correva a prendere le formagge, che in quel periodo, dato che non si vendeva ancora il latte, abbondavano, e ai frati ne dava sempre due. Poi mia madre aggiungeva sempre la medesima frase: “Pregate per me e per la mia famiglia”.
Io mi ricordo l’ultima volta che vennero i frati. Avrò avuto allora 7 o 8 anni. Venne un giovane frate, bello come un angelo, che non disse più la solita frase a cui eravamo abituati. Io lo guardai e anche lui indossava il saio marrone e aveva una corda bianca sui fianchi, come gli altri frati. Io mi chiesi se quei nodi sulla corda rappresentavano per lui, come mi era stato detto, tante preghiere, e mi fu poi permesso di appurarlo. Mia madre, dopo avergli regalato le formaggette mi disse: “Rita, accompagnalo fino alla strada comunale, e aiutalo a portare le ceste”.
La strada distava 500 metri da casa nostra e io presi il cesto più piccolo che conteneva una ventina di formaggette, e per me pesava più di un macigno. Lui raccolse la gerla più grossa e ci avviammo. Non faceva altro che pregare e diceva un sacco di Ave, Pater, Gloria. A un certo punto mi disse: “tu, piccolina, non preghi? Bisogna che preghiamo anche per quelli che ci danno le formaggette, oltre che per il nostro convento”. Io risposi: “Angelo Dei, qui custes mei” che avevo imparato in quei giorni a scuola. Erano le uniche parole che conoscevo della preghiera dell’Angelo custode e non potei continuare. Eravamo ormai arrivati alla strada. Il frate salutandomi mi disse: “ciao, piccola, sono arrivato. Vai pure, grazie!”
Foto tratta dal sito www.parks.it
Dopo aver fatto qualche passo, mi rivoltai per risalutarlo, ma era ormai scomparso. Passarono gli anni. In seguito i miei genitori, con non poca fatica, fecero una strada che da quella comunale portava alla nostra casa. E cominciarono ad arrivare anche da noi le automobili, e io per anni continuai a guardare se da qualche auto scendessero anche i frati “cerconi” per cercare le formaggette. Ma con rammarico non vidi mai più nessun frate scendere. Allora io pensai che, col progresso, la carità aveva preso altre strade. I frati, infatti, non tornarono più. Ci era stato detto, in seguito, che era cambiata la regola del loro ordine e non giravano più tra le famiglie a cercare. Sono passati tanti anni, ma quel frate giovane, gentile e bello, che sembrava un angelo, così orante, non l’ho mai più incontrato, né scordato.
                                                                         
                                      Rita Santini




Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.




giovedì 24 luglio 2014

"Mosè, profeta e amico di Dio" di Enrico Di Daniele

Mi capita, talvolta, di ricevere per posta libri e pubblicazioni di vario genere, che gli autori mi inviano in visione o per chiedere un parere. Leggo tutto quello che mi viene inviato, anche se magari ci metto un po' di tempo. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere "Mosè, profeta e amico di Dio" di Enrico Di Daniele. Leggere non è forse la forma verbale più corretta, o forse in questo caso è un po' limitante, perchè il libro abbina alle parole una serie di bellissimi disegni a colori, che illustrano le vicende narrate dalla storia. Il giovane autore del libro, nato a Rimini e laureato in Economia aziendale, è stato scout ed educatore, ed è ora un già affermato autore di libri dedicati, principalmente, a temi ed argomenti biblici ed evangelici. L'illustratrice del volume è la forlivese Luana Piovaccari. Laureata in disciplina delle Arti e della Musica e dello Spettacolo a Bologna, ha in seguito conseguito il Diploma all'Istituto Europeo di Design di Milano. Dalla loro proficua collaborazione sono già nati diversi volumi.
Torniamo al libro di cui vogliamo parlare oggi, "Mosè profeta e amico di Dio" (Tau editrice)
Nel libro viene narrata la storia del Profeta Mosè, a tutti nota, coniugando il rispetto della lezione Biblica e una leggerezza e una fluidità di narrazione che fanno sì che il libro sia adatto a lettori di ogni età. 
Sicuramente è un libro che si adatta in particolare all'uso didattico, sia nelle scuole che nei corsi di Catechismo.  Dalle pagine emerge tutta l'umanità di Mose, i suoi dubbi, le sue esitazioni.
Vicende note, direte voi, di cui già si è scritto e letto tanto, che abbiamo visto messe in scena tante volte al Cinema o in Tv. Certo, tutto vero, però il libro di Di Daniele affronta queste tematiche in modo assolutamente gradevole, lieve, con un linguaggio semplice e accessibile, ponendo al centro l'aspetto della narrazione, del racconto. 
Come forse qualche lettore ricorderà, a proposito della Divina Commedia di Dante, si diceva che si possono riconoscere diversi "sensi" di lettura. Un significato letterale, uno allegorico ecc... Inutile dire che ancora più complessa è l'interpretazione della Bibbia. Tuttavia, al di là di tutto, se immaginiamo di affidare questo libro nelle mani di un bambino o di un ragazzo possiamo farlo con tranquillità, perchè comunque la Bibbia è anche un grande contenitore di "storie" avvincenti. Storie che possono essere lette anche come racconti, come novelle. Ebbene questo libro mi ha fatto ricordare la passione con cui, da ragazzo, leggevo libri come "Le più belle storie della Bibbia" (Mondadori). Pur non capendo magari i significati simbolici e le vere ragioni per cui quei racconti erano stati scritti, provavo tutto il gusto che si prova a leggere storie di avventura o di guerra. Credo che questo aspetto vada tenuto in considerazione. Il giovane lettore deve avvicinarsi alle storie bibliche anche per la semplice passione per la lettura. Avrà tempo in seguito di approfondire, se vorrà, quei temi nel corso degli anni a venire, e di penetrare magari nelle più profonde questioni teologiche.
                                 
                                                    Massimo Beccarelli

venerdì 18 luglio 2014

I racconti di Rita Santini: L'omino dell'olio



Questa nostra era moderna è un’epoca in cui per chiamarsi, scriversi e dialogare basta un clic, una chat o qualcosa di simile, anche se questi strumenti nascondono spesso amare sorprese. Tutti lavorano attaccati ai computers e ai telefoni cellulari, e tutto è veloce e affannoso. A noi che tanto giovani ormai non siamo più, ma neppure vecchi, viene da chiederci dove sono finiti i nobili mestieri della nostra gioventù, quando il lavoro ci riempiva le ore e le giornate. Venivamo contattati da persone efficienti che ci offrivano il frutto del loro pregiato lavoro manuale. E noi lo sappiamo che era così, perché lo abbiamo provato. Fra i tanti mestieri in voga una volta, ve ne racconto uno che ha come protagonista un uomo originale e simpatico, ma soprattutto carico di umanità. Mi ricordo perfettamente un omino piccolo, anziano ma vispo, che due volte all’anno giungeva dalla Liguria. Portava sempre, caricato saldamente sulle spalle, un grosso contenitore di acciaio inossidabile, e nelle mani recava bottiglioni stracolmi di olio extra-vergine di oliva. Per tantissimi anni costui arrivò a casa nostra offrendoci un olio genuino e garantito al 100 %, che lui traeva dalle sue piante d’ulivo, che coltivava con amore nell’entroterra ligure.

Noi vivevamo allora in campagna, nella vecchia casa di mio nonno, ed eravamo in sette persone, tra cui quattro bimbi. L’omino giungeva a noi sempre verso sera, stanco ed affamato, così, dopo essersi rifocillato alla nostra tavola, rifiutava umilmente il letto che i miei genitori gentilmente gli offrivano e diceva: “Per me basta e avanza dormire qui in cucina accanto al fuoco della stufa, e sono sicuro che domattina saranno rinvigorite le mie stanche ossa”. Così i miei genitori lo salutavano e andavano a letto, chiudendosi dietro le spalle la porta. Noi bambini, dalle fessure delle porte, spiavamo con curiosità e udivamo bisbigliare piano. Erano le preghiere che provenivano dalla panca dove riposava l’omino dell’olio. Il mattino dopo, appena sveglia, io correvo in cucina per dare il buongiorno all’ometto, ma di lui non c’era più neanche l’ombra. Mia madre mi diceva: “è andato via all’alba, lui ha ancora molto da lavorare, deve vendere altro olio prima di tornare in Liguria. Sai, è molto lontana la sua casa e la sua famiglia lo aspetta”. Era vero, non c’erano mezzi allora e lui la distanza la copriva tutta a piedi. Io mi chiedo ancora adesso come facesse con un carico così pesante da trasportare, un omino così piccolo, a superare le montagne ed arrivare fino a noi. Sono passati tanti anni, tante cose sono cambiate, non so più cosa gli sia successo, e me ne dispiace. Io il trasportatore d’olio non l’ho più visto. Mi rimane però il ricordo indelebile di lui, che si sapeva guadagnare la vita col lavoro, col sorriso sulle labbra sapeva conquistarsi la simpatia di tutti. Bravo, ci hai insegnato tanto, omino dell’olio!
                                                                                    Rita Santini





Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.