Quando ero bambina abitavo nel podere in campagna,
poco lontano dal Borgo, dove allora mancava tutto: la luce elettrica,
l’acqua corrente nelle case, il telefono e mille altre cose. I
nostri giovani dovrebbero pensare un attimo a quali immensi benefici
ha portato oggi l’arrivo di queste cose. Esistevano però altri
valori ai quali tenevo molto, come l’amore per una famiglia unita:
i nonni, genitori buoni e fratelli e sorelle affettuose. Si giocava
con i cani e i gatti e anche le mucche ci facevano compagnia. Bastava
un riccio, un topolino o uno scoiattolo, per farci fare le corse e un
sacco di risate. Quando poi, nella stalla, nasceva un vitellino, per
noi era una gioia grande e noi bambini ci chiedevamo come poteva
essere nato già così gigante.
Vivevamo molto isolati, a quel tempo, e non veniva
quasi mai nessuno a trovarci. Le poche persone che ogni settimana
bussavano alla nostra porta erano le benvenute.
Una
o due volte all’anno arrivavano da noi due frati anziani, che
avevano due lunghe barbe bianche e portavano con sè due grossi
cesti. Questi frati che, se non ricordo male, provenivano dal
convento di Pontremoli, vestivano con un serio e modesto saio marrone
accompagnato da sandali aperti senza calze e avevano viaggiato
attraverso le montagne, anche con i climi più rigidi, sopportando
grandi sofferenze, per penitenza ed obbedienza al loro ordine.
Erano
mandati, dicevano, dal loro convento, per la cerca, e la loro frase,
quando aprivamo la porta era sempre la stessa: “Per favore
Marietta, ci date una formaggetta? Grazie!” Mia madre, che di nome
si chiamava proprio Marietta, diventava rossa e correva a prendere le
formagge, che in quel periodo, dato che non si vendeva ancora il
latte, abbondavano, e ai frati ne dava sempre due. Poi mia madre
aggiungeva sempre la medesima frase: “Pregate per me e per la mia
famiglia”.
Io mi ricordo l’ultima volta che vennero i frati. Avrò
avuto allora 7 o 8 anni. Venne un giovane frate, bello come un
angelo, che non disse più la solita frase a cui eravamo abituati. Io
lo guardai e anche lui indossava il saio marrone e aveva una corda
bianca sui fianchi, come gli altri frati. Io mi chiesi se quei nodi
sulla corda rappresentavano per lui, come mi era stato detto, tante
preghiere, e mi fu poi permesso di appurarlo. Mia madre, dopo avergli
regalato le formaggette mi disse: “Rita, accompagnalo fino alla
strada comunale, e aiutalo a portare le ceste”.
La strada distava
500 metri da casa nostra e io presi il cesto più piccolo che
conteneva una ventina di formaggette, e per me pesava più di un
macigno. Lui raccolse la gerla più grossa e ci avviammo. Non faceva
altro che pregare e diceva un sacco di Ave, Pater, Gloria. A un certo
punto mi disse: “tu, piccolina, non preghi? Bisogna che preghiamo
anche per quelli che ci danno le formaggette, oltre che per il nostro
convento”. Io risposi: “Angelo Dei, qui custes mei” che avevo
imparato in quei giorni a scuola. Erano le uniche parole che
conoscevo della preghiera dell’Angelo custode e non potei
continuare. Eravamo ormai arrivati alla strada. Il frate salutandomi
mi disse: “ciao, piccola, sono arrivato. Vai pure, grazie!”
Foto tratta dal sito www.parks.it
Dopo
aver fatto qualche passo, mi rivoltai per risalutarlo, ma era ormai
scomparso. Passarono gli anni. In seguito i miei genitori, con non
poca fatica, fecero una strada che da quella comunale portava alla
nostra casa. E cominciarono ad arrivare anche da noi le automobili, e
io per anni continuai a guardare se da qualche auto scendessero anche
i frati “cerconi” per cercare le formaggette. Ma con rammarico
non vidi mai più nessun frate scendere. Allora io pensai che, col
progresso, la carità aveva preso altre strade. I frati, infatti, non
tornarono più. Ci era stato detto, in seguito, che era cambiata la
regola del loro ordine e non giravano più tra le famiglie a cercare.
Sono passati tanti anni, ma quel frate giovane, gentile e bello, che
sembrava un angelo, così orante, non l’ho mai più incontrato, né
scordato.
Rita
Santini
Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.
Erano mandati, dicevano, dal loro convento, per la cerca, e la loro frase, quando aprivamo la porta era sempre la stessa: “Per favore Marietta, ci date una formaggetta? Grazie!” Mia madre, che di nome si chiamava proprio Marietta, diventava rossa e correva a prendere le formagge, che in quel periodo, dato che non si vendeva ancora il latte, abbondavano, e ai frati ne dava sempre due. Poi mia madre aggiungeva sempre la medesima frase: “Pregate per me e per la mia famiglia”.
Io mi ricordo l’ultima volta che vennero i frati. Avrò avuto allora 7 o 8 anni. Venne un giovane frate, bello come un angelo, che non disse più la solita frase a cui eravamo abituati. Io lo guardai e anche lui indossava il saio marrone e aveva una corda bianca sui fianchi, come gli altri frati. Io mi chiesi se quei nodi sulla corda rappresentavano per lui, come mi era stato detto, tante preghiere, e mi fu poi permesso di appurarlo. Mia madre, dopo avergli regalato le formaggette mi disse: “Rita, accompagnalo fino alla strada comunale, e aiutalo a portare le ceste”.
La strada distava 500 metri da casa nostra e io presi il cesto più piccolo che conteneva una ventina di formaggette, e per me pesava più di un macigno. Lui raccolse la gerla più grossa e ci avviammo. Non faceva altro che pregare e diceva un sacco di Ave, Pater, Gloria. A un certo punto mi disse: “tu, piccolina, non preghi? Bisogna che preghiamo anche per quelli che ci danno le formaggette, oltre che per il nostro convento”. Io risposi: “Angelo Dei, qui custes mei” che avevo imparato in quei giorni a scuola. Erano le uniche parole che conoscevo della preghiera dell’Angelo custode e non potei continuare. Eravamo ormai arrivati alla strada. Il frate salutandomi mi disse: “ciao, piccola, sono arrivato. Vai pure, grazie!”
Foto tratta dal sito www.parks.it |
ma che bello!!
RispondiEliminaanna wood
è proprio piacevole leggere questo racconto, storia di vita vissuta con i valori semplici, quelli della vita di campagna.
RispondiEliminaGrazie
Francesco