martedì 23 dicembre 2014

Fumetti in un blog che parla di letteratura e cultura?



Fumetti in un blog che parla di letteratura e cultura, molti lo considereranno inappropriato. Che c'entrano i fumetti con la cultura?

Da sempre il fumetto è considerato un medium povero, un mezzo espressivo troppo popolare, buono per il divertimento di bambini o poco più (Anche se non è sempre vero, in Francia, Giappone e Stati Uniti, per non parlare della grande tradizione, anche politica, del fumetto sudamericano, il fumetto è considerato un'arte al pari di letteratura, cinema e musica).
Nel corso del tempo, questo pregiudizio ha portato persino a vere e proprie cacce alle streghe, come quella scatenata dallo psichiatra Frederic Whertham e dal suo saggio “La seduzione degli innocenti” del 1954, con cui l'accademico, con argomentazioni in certi casi al limite del delirante, cercava di dimostrare come il fumetto popolare fosse all'origine di ogni piaga sociale, dall'alcolismo alla violenza, diffusa tra i giovani statunitensi.
Tra i genitori delle buone famiglie americane si scatenò il panico, con manifestazioni di isterismo che portarono addirittura a roghi di fumetti nelle piazze ed assalti di folle di esagitati alle sedi delle più note case editrici pubblicanti Comics.
Si arrivò persino a discutere al senato leggi che limitassero la diffusione dei fumetti e ne sottoponessero il contenuto al ferreo regime di censura del Comics Code Authority, fino a portare, alla metà degli anni cinquanta, alla quasi estinzione del genere fumetto negli Stati Uniti.
Inutile dire che le suddette piaghe sociali non sembrarono risentire minimamente della cosa.
Come potremmo rispondere a questa selva di pregiudizi noi poveri amanti dei fumetti?
Beh, potremmo cominciare a dire che il fumetto, unendo testo ad immagini disegnate o dipinte, letteratura e pittura, ha una potenzialità artistica doppia di entrambe. 
Oppure potremmo appellarci al suo primato di più antica espressione di arte narrativa dell'umanità.
Prendiamo le famosissime grotte dipinte di Lascaux, con i loro magnifici tori, cavalli, e creature fantastiche dipinte dai nostri antenati cacciatori di diciassettemila anni fa. All'inizio si pensava fossero elementi di riti propiziatori tesi a garantire una buona caccia, poi i ricercatori si resero conto di come fossero in realtà la raffigurazione dei loro miti.
Proprio come le pitture rupestri degli aborigeni australiani che narrano le storie della donna serpente Kunia che inventò il boomerang, o i guerrieri delle incisioni su roccia della Val Camonica. Un racconto per immagini. Il primo fumetto della storia.
Potremmo anche parlare delle tombe egizie, decorate con storie e personaggi che parlano grazie a vere e proprie nuvolette in geroglifico! 
Quindi, forti di questi argomenti, possiamo andare a parlare di fumetti persino in un blog dedicato alla cultura “alta”, come quello del professor Massimo Beccarelli. L'occasione è stata una serie di incontri, organizzati proprio da Massimo, che nell'ultimo anno hanno portato a Borgo Val di Taro alcuni dei più noti esponenti del fumetto italiano, partendo dallo storico sceneggiatore di Tex, Claudio Nizzi, che ebbe il l'onere e l'onore (un compito da far tremare i polsi) di raccogliere il testimone del “Papà” di Tex, Gianluigi Bonelli, dopo il suo ritiro, passando per Moreno Burattini, sceneggiatore e curatore di Zagor e colonna portante della casa editrice Bonelli, per finire in bellezza con il mitico Gallieno Ferri, storico disegnatore di Zagor e uno dei massimi artisti del fumetto italiano ed internazionale.
E proprio dai fumetti Bonelli vogliamo partire per fare un excursus, tutt'altro che esaustivo, per carità, dei più grandi fumetti mondiali, nel tentativo di dimostrare che anche i nostri amati “giornalini”, sono, alla fin fine, un' espressione artistica che nulla ha da invidiare a qualunque altra.
E siccome siamo italiani, da chi cominciare, se non da LUI?

é incidentalmente incappato in due pallottole mentre cercava di rubarmi il cavallo...”

Il solo e mitico TEX... 
Ne parleremo nella prossima puntata! 

A presto,
Mirko.

lunedì 22 dicembre 2014

I racconti di Rita Santini: Cari ricordi del passato



Forse qualcuno, che ha letto distrattamente i miei racconti, avrà pensato che raccontassi fiabe, ma non è così. Raccontavo infatti un passato che non esiste più. Io sono cresciuta, come i bimbi di allora, sana all’ombra dei cerri, dei castagni, dei pioppi delle nostre valli. I miei amici, come me, erano giovani e spensierati. Correvamo allegri nel verde dei prati, inebriandoci col profumo soave dei fiori, all’aria dolce e primaverile; sognando come è giusto sognare quando si è giovani e giovani allora eravamo, ed amavamo il sorgere del sole dietro i monti, che quasi sempre ogni mattina s’annunciava radioso, accarezzando le colline circostanti. Una natura così incontaminata, che faceva giungere a noi l’aroma speciale che emanava il fieno appena falciato d’estate. 

In questo ambiente eravamo felici di vivere, di essere amici di tutti, di difendere e amare uomini, bestie e piante, cioè ogni essere vivente. Nella stalla osservavamo la luce tremula dell’acetilene appesa al soffitto che illuminava il quadro di sant’Antonio Abate, protettore degli animali. E poi correvamo ad accudire le bestie, che muggivano spazientite reclamando il pasto già dal mattino e non accettavano deroghe. Poi, dopo una veloce e frugale colazione, correvamo su in salita per oltre un’ora, carichi come muli, con la cartella e sottobraccio la fascina di stecchi per accendere il fuoco in classe; altre volte, col sacco pieno di pagnotte di pane in spalla per la merenda degli alunni, che i maestri, d’accordo con i genitori, ci facevano fare a casa nel forno dalle nostre madri, perché dicevano che era migliore. Così, correndo a perdifiato, rossi e affannati, giungevamo a scuola e salutavamo il maestro con profonda riverenza, poi, composti, ci sedevamo ad ascoltare lui che spiegava la lezione in un silenzio perfetto. Il nostro voto, in condotta e religione, era sempre 10 tutto l’anno. Regnava l’ubbidienza sovrana, allora, verso i genitori, i quali erano buoni ma severi; verso il parroco e il maestro, poi, l’ubbidienza era sacra. Ed erano costoro, per noi ragazzi, figure carismatiche, degne di lode, un buon punto di riferimento verso il bene.
Non è passato molto tempo, ma ora tutto è cambiato. Ci viene sovente da chiederci: questi bimbi, da noi generati, cresciuti nell’abbondanza, con un sacco di cose più di allora, e anche con maggiore istruzione e più libertà; così belli, curati, amati, seguiti ed ascoltati; hanno ancora il rispetto, l’affetto, l’amore verso il prossimo e verso Dio?



Rita Santini, borgotarese, ha pubblicato poesie su giornali e periodici locali dell'Emilia Romagna, come “L'Araldo della Madonna di San Marco”, il “Lunariu Burg'zan” e la “Voce del Taro”, per cui ha scritto anche molti racconti. Ha partecipato a mostre di poesia, come il “Natale ritrovato” del Seminario di Bedonia, e le sue poesie sono state pubblicate ogni anno sul libro dei partecipanti. Molti, inoltre, gli attestati di partecipazione ricevuti da periodici e concorsi di altre regioni d'Italia. In particolare si ricorda la pergamena ottenuta partecipando ad un concorso indetto dal giornale “Lo Scoglio” di Roccaporena di Cascia. Recentemente ha conseguito il terzo premio al 35° Concorso di poesia organizzato dalla parrocchia di San Bernardo degli Usberti di Parma.


"La storia del Fumetto" su Lettore di Provincia



In questi giorni abbiamo proposto a un amico, grande appassionato di fumetti, di tenere una rubrica su questo blog. La proposta è stata accolta con entusiasmo e vedrà approdare su queste pagine una serie di contributi dedicati alla storia del Fumetto, quella che viene oggi definita "la nona Arte". Gli abbiamo dato libertà di scegliere gli argomenti da trattare e quindi ogni articolo riserverà delle sorprese...
Crediamo di fare cosa gradita, lasciando spazio di esprimersi ad altre voci e a nuove firme. Già da tempo il blog ospita i racconti di Rita Santini, che hanno riscosso largo interesse, e che continueranno ad essere proposti anche in futuro. E' l'occasione di avvicinare lettori diversi e nuovi e di raggiungere un pubblico più vasto. Continuerete comunque a trovare, ovviamente, anche i miei articoli.

                                                   
                                           Massimo Beccarelli

lunedì 15 dicembre 2014

Lucrezia Borgia, la perfida innocente




Lucrezia Borgia è, senza dubbio, uno dei personaggi più controversi della storia del Rinascimento italiano. La sua figura, per lungo tempo identificata come simbolo di perdizione e dissolutezza, va oggi rivista e rivalutata. Il libro di Geneviève Chastenet, “Lucrezia Borgia, la perfida innocente” (Mondadori, Oscar Storia) ripercorre la vita di Lucrezia e ci aiuta a comprenderne meglio le vicende, che vanno calate e lette all'interno dell'epoca in cui è vissuta.
“Menade scatenata, avvelenatrice, baccante, assassina, incestuosa: per molto tempo Lucrezia Borgia è stata il bersaglio privilegiato delle accuse più infamanti scagliate da romanzieri e poeti. Sulla figlia di Alessandro VI pesano da cinque secoli le più oltraggiose calunnie, senza che mai ne sia stata fornita la minima prova”.
Le parole di Chastenet sono sostenute dalla ricerche storiche, presentate in modo divulgativo e gradevole, da cui emerge che Lucrezia sembra essere più vittima che carnefice. Nata nel 1480, vive nel raffinato ambiente della curia romana, tra figli di cardinali e di nobili: “sapeva esprimere un garbato complimento in latino, recitare le egloghe di Petrarca, cantare accompagnandosi al liuto e danzare le figure più complesse”.
La fanciulla cresceva in bellezza e grazia, e non era una bellezza provocante, capace di seduzioni fatali, come hanno sostenuto alcuni autori, ma una bellezza caratterizzata anche da una certa fragilità, che si nota nei ritratti fatti dai contemporanei, come il Pinturicchio o Bartolomeo Veneto, e che oggi fa quasi tenerezza: “Il viso, ovale e armonioso, è espressivo e tenero, i grandi occhi chiari colpiscono per la luce interna che li anima”.
Cesare Borgia
Ben presto il padre, salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI, capisce che questa figlia, così bella e aggraziata, potrà fare la fortuna della casata. Lucrezia diverrà una semplice pedina di scambio, verrà promessa sposa diverse volte, e spesso le promesse verranno sciolte all'arrivo di un miglior partito. Giovanni Sforza, Alonso d'Aragona si susseguono come mariti, in un equilibrio di poteri che ora si sposta su Milano, ora su Napoli. Al centro Lucrezia, i cui desideri, per la ragion di stato, passano in secondo piano. E poi c'è la figura centrale del fratello, Cesare Borgia, il Valentino, che della famiglia Borgia è il vero perno. Temuto dallo stesso padre e dalla sorella, sarà lui a decidere spesso le sorti dei matrimoni e della dinastia, levando di mezzo chi gli era di ostacolo, per assecondare i propri sogni di grandezza, ambiziosi, smisurati. Idealizzato, come tutti sanno, da Machiavelli per il suo essere un principe senza tanti scrupoli, è una figura spietata, di grande violenza.
Il trasferimento di Lucrezia a Ferrara, dove andrà in sposa ad Alfonso d'Este, cambierà per sempre le sorti della fanciulla. La successiva morte del padre Alessandro VI e del fratello Cesare rappresenteranno per lei una vera liberazione. Era la fine della Roma dei Borgia, fatta di splendori e intrighi. A Ferrara, Lucrezia finalmente potrà godere di un po' di serenità, e sarà animatrice della Corte, dove accoglierà grandi letterati come Pietro Bembo e Ludovico Ariosto.
Quella di Lucrezia Borgia, in conclusione, è proprio una storia da rileggere, una figura da rivalutare senza farsi offuscare dai pregiudizi.




martedì 9 dicembre 2014

"Il Monte Penna", una storia lunga 20 secoli



“Sulle nostre montagne pochi luoghi posseggono una storia così articolata, complessa e anche curiosa come la foresta del Monte Penna”. Una storia lunga 20 secoli, che Giovanni Marchesi ha raccontato in un interessante volume: Il Monte Penna, frequentazione, conoscenza, antropizzazione, sfruttamento di una selva secolare.

Il Penna risulta frequentato dall’uomo fin dai tempi preistorici. Alcuni reperti, infatti, ci permettono di riscontrare la presenza “di attività di caccia e raccolta di prodotti naturali spontanei”(p.12) già nel corso dell’età neolitica. Il primo insediamento stabile dell’uomo risale invece all’età del Bronzo, è il cosiddetto insediamento delle Rocche di Drusco. 

Il Penna sarà poi abitato da popolazioni Liguri, fino all’avvento dei Romani, che li sconfissero ed occuparono il loro territorio. Interessanti alcuni aneddoti legati all’età medievale. I longobardi, ad esempio, sembra utilizzassero gli alberi del Penna per le loro cerimonie pagane. Nel VII secolo i monaci di San Colombano di Bobbio costruirono sul monte una serie di ricoveri per ospitare pellegrini, poveri e malati. 
A metà del ‘200 Ubertino Landi fece della foresta del Penna la sua selva “privata”. Da allora, e per secoli, “la selva del Penna fu proprietà privata sostanzialmente disabitata e destinata solo a una produzione limitata e pregiata di legname” (p.28). Facciamo un salto di qualche secolo, e arriviamo all’epoca napoleonica. A quel tempo, tutta la foresta del Penna era gestita dalla Prefettura di Chiavari. Nel XIX secolo la svolta: nel 1853 il versante emiliano della foresta fu ceduto a privati e da allora “conobbe una storia assolutamente singolare di sfruttamento industriale delle risorse boschive e minerarie” (p.39). 
L'autore del libro, Giovanni Marchesi
Nel 1853, infatti, il duca di Parma Carlo III aveva affidato al barone inglese Thomas Ward lo sfruttamento delle miniere e della foresta. Per consentire un rapido trasporto del legname, che serviva per lavorare i minerali estratti, fu costruita anche una ferrovia che collegava Piacenza al Monte Penna. Carlo III mirava allo sfruttamento delle miniere di rame, che risultarono però ben poca cosa. Alla morte prematura di Carlo, Ward cadde in disgrazia e perse tutti i privilegi ricevuti. 
Dopo varie vicissitudini, la selva fu acquisita dalla Società Foreste e Miniere del Monte Penna, che affidò la direzione dell’impresa all’italo-inglese Henry de Thierry. Egli stabilì la direzione dei lavori a Santa Maria del Taro. Era il paese ideale, per la sua abbondanza di acque e per la posizione, che era proprio al centro tra la foresta e quei villaggi che fornivano la manodopera. Paese poverissimo, nel corso di 30 anni divenne ricco di posti di lavoro. Abbandonata ben presto l’estrazione del rame, non produttiva, de Thierry si concentrò sul legname. Per trasportarlo, si costruì una teleferica, che divenne famosa, tanto da attirare visitatori che la osservavano ammirati. A de Thierry si deve anche l’apertura della strada del Bocco. 
Il complesso industriale di Santa Maria del Taro
Tutto questo fece di lui “un autentico benefattore per gli abitanti delle alte valli del Taro e del Ceno, che alcuni anni dopo videro addirittura sorgere a Santa Maria la prima fabbrica italiana per la distillazione del legno”(p.67). 
Nel 1897 nasceva infatti la Società Italiana per le Industrie Chimiche che si dedicava alla distillazione del legno di faggio, da cui si ottenevano sostanze di grande utilità. Il libro prosegue trattando della casa del Penna, del rifugio meteorologico, e di vari personaggi che hanno legato il loro nome a questa montagna: monsignor Scalabrini, Giovanni Mariotti, Giuseppe Micheli. Conclude il volume una serie di interessanti foto storiche.
                                        
                                       Massimo Beccarelli

lunedì 8 dicembre 2014

La storia di Giuseppe Brugnoli, il flautista di Toscanini



Giuseppe Brugnoli: chi era costui?

Brugnoli era un illustre musicista, nato a Borgotaro nel 1873 e morto all’Aquila nel 1952. È considerato uno dei più grandi flautisti del primo novecento, ed è stato il primo flauto della famosa orchestra Toscanini, oltre che dell’Orchestra del teatro Augusteo di Roma, prima di ricoprire lo stesso ruolo presso il prestigioso Teatro Metropolitan di New York. Era un musicista famoso, ed era un borgotarese. Le ricerche effettuate su questo personaggio dal prof. Gian-Luca Petrucci, titolare della cattedra di flauto presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, in collaborazione con l’Associazione di ricerche storiche valtaresi “A. Emmanueli”, hanno permesso di portare alla luce molte notizie interessanti. In primo luogo è stato possibile ricostruire l’albero genealogico del nostro personaggio. È risultato così che Giuseppe Brugnoli era il fratello di Tanisio e di Cecu d’Nanö, padre delle signorine che allora, a Borgotaro, tutti conoscevano col soprannome di “Mie”. A questo proposito bisogna ringraziare Paolo Romagnoli, che ha messo a disposizione molte immagini fotografiche di Brugnoli, che sono state rinvenute nell’abitazione delle stesse.
Nel corso delle ricerche sono emersi particolari sempre nuovi, e la figura del nostro flautista si è via via delineata. La pregevole ricerca del prof. Petrucci si è quindi concretizzata nella pubblicazione di un libro: Giuseppe Brugnoli, il flautista di Toscanini. Allegato al volume c'è inoltre un CD contenente un brano originale eseguito da Brugnoli circa un secolo fa.

Brugnoli, peraltro, non è stato il solo illustre musicista della storia di Borgotaro. Il paese, nel corso dei secoli, ha dato i natali ed ha ospitato illustri musicisti, da Giovanni Pacolini a Francesco Buccellati, da Francesco Picenardi a Carlo Gervasoni, senza dimenticare Giulio Mosconi, per anni direttore della banda. A quest’elenco vanno aggiunti ancora Louis Ferrari, Tony Murena, Lino Leonardi, John Brugnoli e Bruno Aragosti, tutti personaggi di grande rilievo, autori di composizioni famose e spesso di successo mondiale. Senza dimenticare il grande maestro Giorgio Gaslini, recentemente scomparso, che per qualche decennio, proprio a Borgotaro, ha trovato ispirazione per le sue composizioni note in tutto il mondo.




domenica 7 dicembre 2014

"Il Dio del cacciatore" di Michele Bottazzi



"Il Dio del cacciatore" è un libro molto originale, sia nello stile che nei contenuti. L'autore, Michele Bottazzi, è nato a Salsomaggiore Terme ed è laureato in Giurisprudenza. Come si legge sul suo sito internet, svolge l'attività di Consulente legale per società e privati ed è un Mediatore/Conciliatore professionista. E' anche un già affermato scrittore e un esperto di caccia, armi e munizioni, e collabora con le più importante riviste del settore.
Ho finito di leggere in questi giorni il suo ultimo libro "Il Dio del cacciatore" e, come vi anticipavo, il libro mi ha positivamente colpito. Si tratta di un libro scritto con un linguaggio elevato, forbito, e va letto lentamente, con attenzione, quasi assaporato in ogni sua parte. 
Una lettura a tratti difficile, che però riserva continue sorprese. Si nota il gusto per la parola esatta, giusta, precisa. Con le dovute proporzioni, ho provato il piacere che mi dava la lettura dei romanzi dannunziani; un piacere che passava attraverso lo spaesamento iniziale, ma che coglieva la grandezza di uno scrittore che sapeva usare davvero la nostra lingua, che ha un lessico ricchissimo ma che solo pochi sanno dominare. Il romanzo di Bottazzi è ricco anche di riferimenti al Mito e all'Epica classica, oltre che alla tradizione biblica. Il protagonista è un uomo che, ormai insofferente alle regole della civiltà, sceglie di andarsene e di vivere in un rifugio nei boschi. Una scelta consapevole, fatta da "un uomo troppo preso dal fare, dall'arrivare ed accumulare, che si sta spegnendo troppo in fretta". La scelta coincide con una rinascita, con "la necessità di ritornare a far parte della natura". Un ritorno alle origini, alla vita vera, senza tanti fronzoli, senza tante comodità, senza luce, senza acqua corrente: "Che bella potrebbe essere la vita, il sapore delicato delle cose semplici". 
L'autore, Michele Bottazzi
Una vera ode alla Natura, che si dipana un po' per tutto il libro, seguendo le orme di un cinghiale o osservando la bellezza di un bosco, l'acqua e l'aria cristallina, il muschio, la libertà.
La natura tuttavia è anche crudele, i pericoli sono in agguato ovunque. Seppure armato, il protagonista si troverà a rischiare la vita, e da cacciatore rischierà di divenire preda, in un mondo dove solo i più forti sopravvivono. 
Un libro, questo, che offre anche molti altri spunti, come le riflessioni profonde sulla presenza di Dio nell'universo: "Credo che il tutto non sia nato per caso, un'opera così grande non può sussistere senza architetto nè amministratore, credo che l'esistenza delle stelle non sia accidentale". E nonostante questo gli interrogativi più grandi restano senza una risposta: "Perchè Dio punisce chi nulla ha fatto di male a lui o ai figli suoi, perchè?"
Un libro molto interessante, in conclusione, che merita di essere letto, stampato da Erga Edizioni

                                                           Massimo Beccarelli