“Sulle
nostre montagne pochi luoghi posseggono una storia così articolata,
complessa e anche curiosa come la foresta del Monte Penna”. Una
storia lunga 20 secoli, che Giovanni Marchesi ha raccontato in un
interessante volume: Il
Monte Penna, frequentazione, conoscenza, antropizzazione,
sfruttamento di una selva secolare.
Il
Penna risulta frequentato dall’uomo fin dai tempi preistorici.
Alcuni reperti, infatti, ci permettono di riscontrare la presenza “di
attività di caccia e raccolta di prodotti naturali spontanei”(p.12)
già nel corso dell’età neolitica. Il primo insediamento stabile
dell’uomo risale invece all’età del Bronzo, è il cosiddetto
insediamento delle Rocche di Drusco.
Il Penna sarà poi abitato da
popolazioni Liguri, fino all’avvento dei Romani, che li sconfissero
ed occuparono il loro territorio. Interessanti alcuni aneddoti legati
all’età medievale. I longobardi, ad esempio, sembra utilizzassero
gli alberi del Penna per le loro cerimonie pagane. Nel VII secolo i
monaci di San Colombano di Bobbio costruirono sul monte una serie di
ricoveri per ospitare pellegrini, poveri e malati.
A metà del ‘200
Ubertino Landi fece della foresta del Penna la sua selva “privata”.
Da allora, e per secoli, “la selva del Penna fu proprietà privata
sostanzialmente disabitata e destinata solo a una produzione limitata
e pregiata di legname” (p.28). Facciamo un salto di qualche secolo,
e arriviamo all’epoca napoleonica. A quel tempo, tutta la foresta
del Penna era gestita dalla Prefettura di Chiavari. Nel XIX secolo la
svolta: nel 1853 il versante emiliano della foresta fu ceduto a
privati e da allora “conobbe una storia assolutamente singolare di
sfruttamento industriale delle risorse boschive e minerarie”
(p.39).
Nel 1853, infatti, il duca di Parma Carlo III aveva affidato
al barone inglese Thomas Ward lo sfruttamento delle miniere e della
foresta. Per consentire un rapido trasporto del legname, che serviva
per lavorare i minerali estratti, fu costruita anche una ferrovia che
collegava Piacenza al Monte Penna. Carlo III mirava allo sfruttamento
delle miniere di rame, che risultarono però ben poca cosa. Alla
morte prematura di Carlo, Ward cadde in disgrazia e perse tutti i
privilegi ricevuti.
L'autore del libro, Giovanni Marchesi |
Dopo varie vicissitudini, la selva fu acquisita
dalla Società Foreste e Miniere del Monte Penna, che affidò la
direzione dell’impresa all’italo-inglese Henry de Thierry. Egli
stabilì la direzione dei lavori a Santa Maria del Taro. Era il paese
ideale, per la sua abbondanza di acque e per la posizione, che era
proprio al centro tra la foresta e quei villaggi che fornivano la
manodopera. Paese poverissimo, nel corso di 30 anni divenne ricco di
posti di lavoro. Abbandonata ben presto l’estrazione del rame, non
produttiva, de Thierry si concentrò sul legname. Per trasportarlo,
si costruì una teleferica, che divenne famosa, tanto da attirare
visitatori che la osservavano ammirati. A de Thierry si deve anche
l’apertura della strada del Bocco.
Il complesso industriale di Santa Maria del Taro |
Nel 1897 nasceva infatti la Società Italiana per le
Industrie Chimiche che si dedicava alla distillazione del legno di
faggio, da cui si ottenevano sostanze di grande utilità. Il libro
prosegue trattando della casa del Penna, del rifugio meteorologico, e
di vari personaggi che hanno legato il loro nome a questa montagna:
monsignor Scalabrini, Giovanni Mariotti, Giuseppe Micheli. Conclude
il volume una serie di interessanti foto storiche.
Massimo Beccarelli
Massimo Beccarelli
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