martedì 9 dicembre 2014

"Il Monte Penna", una storia lunga 20 secoli



“Sulle nostre montagne pochi luoghi posseggono una storia così articolata, complessa e anche curiosa come la foresta del Monte Penna”. Una storia lunga 20 secoli, che Giovanni Marchesi ha raccontato in un interessante volume: Il Monte Penna, frequentazione, conoscenza, antropizzazione, sfruttamento di una selva secolare.

Il Penna risulta frequentato dall’uomo fin dai tempi preistorici. Alcuni reperti, infatti, ci permettono di riscontrare la presenza “di attività di caccia e raccolta di prodotti naturali spontanei”(p.12) già nel corso dell’età neolitica. Il primo insediamento stabile dell’uomo risale invece all’età del Bronzo, è il cosiddetto insediamento delle Rocche di Drusco. 

Il Penna sarà poi abitato da popolazioni Liguri, fino all’avvento dei Romani, che li sconfissero ed occuparono il loro territorio. Interessanti alcuni aneddoti legati all’età medievale. I longobardi, ad esempio, sembra utilizzassero gli alberi del Penna per le loro cerimonie pagane. Nel VII secolo i monaci di San Colombano di Bobbio costruirono sul monte una serie di ricoveri per ospitare pellegrini, poveri e malati. 
A metà del ‘200 Ubertino Landi fece della foresta del Penna la sua selva “privata”. Da allora, e per secoli, “la selva del Penna fu proprietà privata sostanzialmente disabitata e destinata solo a una produzione limitata e pregiata di legname” (p.28). Facciamo un salto di qualche secolo, e arriviamo all’epoca napoleonica. A quel tempo, tutta la foresta del Penna era gestita dalla Prefettura di Chiavari. Nel XIX secolo la svolta: nel 1853 il versante emiliano della foresta fu ceduto a privati e da allora “conobbe una storia assolutamente singolare di sfruttamento industriale delle risorse boschive e minerarie” (p.39). 
L'autore del libro, Giovanni Marchesi
Nel 1853, infatti, il duca di Parma Carlo III aveva affidato al barone inglese Thomas Ward lo sfruttamento delle miniere e della foresta. Per consentire un rapido trasporto del legname, che serviva per lavorare i minerali estratti, fu costruita anche una ferrovia che collegava Piacenza al Monte Penna. Carlo III mirava allo sfruttamento delle miniere di rame, che risultarono però ben poca cosa. Alla morte prematura di Carlo, Ward cadde in disgrazia e perse tutti i privilegi ricevuti. 
Dopo varie vicissitudini, la selva fu acquisita dalla Società Foreste e Miniere del Monte Penna, che affidò la direzione dell’impresa all’italo-inglese Henry de Thierry. Egli stabilì la direzione dei lavori a Santa Maria del Taro. Era il paese ideale, per la sua abbondanza di acque e per la posizione, che era proprio al centro tra la foresta e quei villaggi che fornivano la manodopera. Paese poverissimo, nel corso di 30 anni divenne ricco di posti di lavoro. Abbandonata ben presto l’estrazione del rame, non produttiva, de Thierry si concentrò sul legname. Per trasportarlo, si costruì una teleferica, che divenne famosa, tanto da attirare visitatori che la osservavano ammirati. A de Thierry si deve anche l’apertura della strada del Bocco. 
Il complesso industriale di Santa Maria del Taro
Tutto questo fece di lui “un autentico benefattore per gli abitanti delle alte valli del Taro e del Ceno, che alcuni anni dopo videro addirittura sorgere a Santa Maria la prima fabbrica italiana per la distillazione del legno”(p.67). 
Nel 1897 nasceva infatti la Società Italiana per le Industrie Chimiche che si dedicava alla distillazione del legno di faggio, da cui si ottenevano sostanze di grande utilità. Il libro prosegue trattando della casa del Penna, del rifugio meteorologico, e di vari personaggi che hanno legato il loro nome a questa montagna: monsignor Scalabrini, Giovanni Mariotti, Giuseppe Micheli. Conclude il volume una serie di interessanti foto storiche.
                                        
                                       Massimo Beccarelli

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