lunedì 28 dicembre 2015

Curiosità letterarie: Un lupo mannaro nel “Satyricon” di Petronio



Cari lettori, voglio inaugurare oggi una nuova sezione del “Lettore di Provincia”. Una sezione dedicata alle curiosità del mondo letterario. Capita spesso, infatti, mentre si è impegnati nella lettura, di imbattersi in aneddoti o curiosità che colpiscono la nostra fantasia. Ve li proporrò, man mano, sulle pagine del blog. Spero che questa sezione vi interesserà. 
La curiosità letteraria di cui vi voglio parlare oggi è quella legata alla presenza di un lupo mannaro nelle pagine del “Satyricon” di Petronio. 
Tito Petronio Nigro è stato uno scrittore e un cortigiano famoso, al tempo dell'imperatore Nerone. Fu noto anche come Petronius Arbiter, dalla descrizione che ne fece Tacito di “arbiter elegantiarum”, ossia punto di riferimento in fatto di mode e di eleganza. Ammirato da Nerone proprio per questo, fu anche proconsole romano in Bitinia. Accusato di far parte della congiura dei Pisoni per uccidere l'imperatore, fu costretto a suicidarsi. Lo fece a modo suo: si tagliò le vene, poi se le fasciò; si tolse le fasce, poi di nuovo si fasciò. E intanto ascoltava poesie d'amore. Poi pranzò, riposò un po', e infine, prima di morire, scrisse un eccentrico testamento. 
Del “Satyricon”, la sua opera fondamentale, rimangono molti frammenti. Uno di essi, il più completo, è la “Cena di Trimalchione”, che però è sufficiente a rendere l'idea dell'opera nel suo complesso. Scrive Giorgio Montefoschi nell'introduzione al volume edito da Rizzoli- BUR: “Il convito più carnale dell'antichità. L'anima qui non esiste. C'è solo il momento presente: ingordo, oppresso dalla sua opulenza tanto tragica quanto funeraria, splendido e vomitevole, percorso da una sotterranea tristezza”. Il protagonista è Trimalchione, schiavo liberato che, appena ottenuta la libertà, si é “fatto da sé”, come si direbbe oggi, ed è diventato ricchissimo. Intorno a lui ruotano un gran numero di personaggi, che raccontano anche tante storie, spesso boccaccesche o quasi incredibili. 
Una di queste storie è quella narrata da Nicerote, che appunto parla di un lupo mannaro. Riporto tra virgolette le citazioni del testo tradotto da Andrea Aragosti per la Rizzoli. Nicerote, mentre si dirigeva verso la casa della sua amante Melissa, era in compagnia di un soldato “forte come un Orco”. A un certo punto giungono all'altezza di un cimitero e il soldato si allontana per urinare. All'improvviso, il soldato si tolse i vestiti e “d'un tratto diventò lupo. Non crediate che io scherzi; non direi una balla per tutto l'oro del mondo. Ma, come avevo principiato a dire, dopo che diventò lupo, cominciò a ululare e fuggì nel bosco”. 
Nicerote resta interdetto, comunque riesce e riprendersi e si dirige a casa dell'amica, la quale l'informa che, poco prima, “è entrato nel cascinale un lupo e a tutte le pecore, come un macellaio, le ha sgozzate.” Uno degli schiavi, comunque, è riuscito a trafiggerlo al collo con una lancia e a metterlo in fuga. Nicerote fugge e, tornato a casa sua, resta impietrito: “Il mio soldato era sdraiato sul letto, pesante come un bove, e c'era un medico che gli medicava il collo. Capìì che era un lupo mannaro” (in latino versipellem). Il racconto si conclude con Trimalchione che dice: “mi è venuta una gran pelle d'oca, perchè so che Nicerote non racconta frottole”. 
Curioso, vero? A presto cari lettori, alla prossima Curiosità letteraria!

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