Un
titolo particolare, un parola sola, incisiva, che si staglia sulla
pagina: Rancura. Un termine colto, raro, usato da Eugenio Montale per
descrivere un sentimento che molti figli provano, o hanno provato,
nei confronti del padre, per misurarsi con lui, per capirlo, per
raccoglierne l'eredità. Un romanzo interessante, “La rancura” di Romano Luperini (Mondadori, 2016) che, seguendo questa suggestione,
ci porta ad attraversare quasi tutta la storia del '900, attraverso
le vite di tre protagonisti, nonno, figlio e nipote, per intendersi,
e che nella sostanza rappresenta soprattutto la storia dei rapporti
tra padre e figlio, via via rivisti e interpretati in modo diverso.
A
seconda di chi troviamo in scena, infatti, lo stesso personaggio
assume varie sfaccettature, è uno, nessuno e centomila, per
ricorrere a un facile paragone pirandelliano. Ogni personaggio è,
nelle pagine del romanzo, quello che gli altri ritengono che lui sia.
Si
pensi a Luigi Lupi, il primo protagonista, maestro elementare e
figlio di contadini, che dopo l'8 settembre combatte in Istria alla
guida di una formazione partigiana, vivendo giorni di gloria in una
zona di confine purtroppo segnata da crimini di guerra e dall'incubo
delle foibe. Croce al valor militare e citato in diversi libri sulla
guerra partigiana, agli occhi del figlio risulterà invece una figura
ingombrante, con cui fare i conti, conti che non si risolveranno mai
del tutto, in verità.
Anche
le vicende della Resistenza, agli occhi del figlio Valerio,
assumeranno un'ambivalenza di fondo, tra curiosità e rifiuto. Quei
fatti “di cui avevo spesso sentito parlare, con curiosità da
bambino, con indifferenza ostentata e ostile più tardi”.
Valerio
è il secondo protagonista. Un'adolescenza difficile, sotto il
controllo di un padre così, ingombrante e ossessivo, difficile da
capire.
Romano Luperini |
Luperini
ci consegna passi di alta leggibilità e alto livello e, seguendo la
crescita di Valerio, sembra di risentire certi stilemi di Elsa
Morante e della sua “Isola di Arturo”. La letteratura permea le
pagine ed emerge, a intervalli regolari, delineando l'educazione di
questo ragazzo che, pian piano, diventa uomo. Da Lady Chatterley al
Montale della “Bufera ed altro” al Gattopardo, fino allo sbocco
naturale dell'impegno politico, in un momento storico in cui le
ideologie erano molto forti ed era difficile non farsene affascinare,
e che lo porteranno a partecipare al Sessantotto e, poi, al tentativo
di creare in Italia un partito rivoluzionario negli anni di piombo.
Quegli anni segneranno anche la rottura definitiva con il padre, che
vedeva nelle loro idee quanto c'era di illusorio e avventato.
E
intanto la vita prosegue, tra un matrimonio con poco amore, l'amante,
e la nascita del figlio Marcello. C'è ancora il tempo di
riavvicinarsi al padre, quando ormai è troppo tardi, dopo una vita
intera passata a tratti a rifiutarlo e a tratti ad emularlo.
Il
terzo protagonista è Marcello, figlio di Valerio. Siamo ormai ai
nostri giorni (2005) e, ancora una volta, si tratta di fare i conti
con la figura del padre. Questa volta i conti si fanno soprattutto a
distanza, attraverso la lettura dei quaderni che lui ha lasciato
nella casa di campagna. Ancora una volta emerge un uomo diverso dai
ricordi del figlio, e la figura del padre risulta smitizzata: “che
lui fosse così non se lo aspettava. Anche questa volta era riuscito
a spiazzarlo”.
Eugenio Montale: a lui si deve il termine "Rancura" |
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