“Figli dello stesso fango” di Daniele Amitrano (13lab editore) è un libro che ho finito di leggere da poco e che mi ha molto colpito, fin dalla copertina, molto cruda ma indicativa della vicenda narrata. Anche le prime battute del romanzo sono dure e lapidarie, e prendono le mosse da una telefonata tragica: “E' morto! Lo hanno trovato a terra nella stazione di Formia. Overdose di eroina”.
Quelle parole investono
senza preavviso Andrea Amato, giornalista di successo a Milano, e lo
fanno ritornare indietro nel tempo, quando era solo un ragazzo che
lavorava allo stabilimento di Scauri, piccola località balneare del
basso Lazio. Una pagina del passato, che si pensava chiusa per
sempre, si riapre invece con forza. Prende le mosse da qui un lungo
flash-back che ci riporta a dieci anni prima, al 1999. Amitrano
rievoca le atmosfere di quel periodo, che gravitano intorno allo
stabilimento di Scauri, dove Andrea lavora, la musica e le atmosfere
di fine anni '90. Dalle pagine emerge un vero spaccato dell'epoca. Il
racconto ci lascia anche pagine straordinariamente lievi e
romantiche, come quelle della passione amorosa per la giovanissima
Nancy. Un amore nascente, bellissimo, fatto di brevi uscite e
approcci timidi, che rimane però irrisolto e non si concretizza,
lasciando un bel po' di amaro in bocca. E poi c'è l'amicizia, la
centralità della comitiva, sempre in cerca di divertimenti e svaghi
per sfuggire dalla monotonia della vita di provincia. Il fascino dei
ragazzi più grandi, dei veri duri, il mito della forza e del
rispetto che questi incutono negli altri, l'uso delle sostanze
stupefacenti. Una realtà fatta di divertimenti e rapporti malati,
che alla fine lasciano un senso di vuoto sconfinato, di inutilità.
Emblematiche sono, a questo proposito, le parole riferite ad uno di
questi giovani, Erasmo, lasciato dalla fidanzato Dalila, ancora una
volta delusa dai suoi comportamenti: “Guarda al di là del muro,
verso il nulla. Un nulla che rispecchia un altro sabato sera uguale
agli altri. Un nulla che raffigura perfettamente i suoi moti
esistenziali e le sue lacune comunicative incolmabili”. Aurelio,
detto Lampadina, Pietro, Erasmo, Massimo detto Max (capo dei bagnini)
sono solo alcuni dei personaggi che si stagliano accanto al
protagonista Andrea e tutti, per varie ragioni, sono calati
perfettamente in questa realtà, in cui sono integrati e che
sopportano, come se non esistesse alternativa. Tra gli amici, però,
la figura di Giacomo, Jack, emerge prepotentemente. La descrizione
dello scrittore lascia trapelare il dramma interiore che lo
sconvolge, al di sotto dell'apparente mancanza di emozioni. Jack è
bello, freddo e serio, dice Amitrano, “eppure il suo sguardo
trapela grandi vuoti”. E poco oltre aggiunge “Non sembra mai
particolarmente soddisfatto e felice, neanche mentre Vittoria lo
bacia sul collo innamorata persa”.
Quanto Andrea risulti
sconvolto dalla morte di Jack lo si capisce dal fatto che anche lui
era parte di quella storia e avrebbe potuto fare, forse, la stessa
fine, se non avesse trovato il coraggio e la forza di allontanarsi da
quella realtà che lo stava ingabbiando. Quando Andrea inizierà le
sue personali indagini per scoprire le ragioni della morte
dell'amico, glielo confermerà Aurelio, Lampadina, che laggiù non
era cambiato nulla e che lui non poteva capire: “E' facile parlare
per te. Tu sei scappato lontano, ti sei sposato e fai il
giornalista”.
Laggiù vigevano altre
leggi, quelle della violenza e della sopraffazione.
Il finale, che ovviamente
non vi rivelo, cambia tutte le carte in tavola e vi regala un effetto
da straniamento degno del film “The others”. Non vi resta che
leggere il libro!
Lo scrittore Daniele
Amitrano, Maresciallo ordinario dell'esercito, due lauree, ha scritto
anche due raccolte di poesie con cui ha vinto diversi premi
letterari.
Nessun commento:
Posta un commento