Racconto di don Elio Sidoli
Ogni tanto mi piace proporvi un bel racconto di don Elio Sidoli, già parroco nella Val Vona di Borgotaro. A oltre 25 anni dalla morte, i suoi testi hanno ancora molto da dire. Il racconto che vi presentiamo oggi, "I due soldati (ovvero Pasqua di guerra)", ci sembra proprio richiamare quello che sta accadendo in questi giorni. Quella che stiamo vivendo è una Pasqua anomala, triste, addolorata dai tanti morti che questo virus tremendo sta mietendo nella nostra popolazione. E' una guerra anche questa, in un certo senso. Il racconto è tratto dal libro "I racconti di don Elio" (Ass. Emmanueli), una pubblicazione locale da tempo, purtroppo, esaurita. Buona lettura!
I due soldati (ovvero Pasqua di guerra)
E'
il Sabato Santo dell'anno di grazia 1944. Anche quest'anno sarà una
Pasqua di guerra. Anche quest'anno Cristo ripeterà la Sua Passione
nelle carni straziate dei soldati che combattono ancora, in mezzo ai
dispersi senza più guida e speranza, fra quelli che sono fuggiti ai
monti e aspettano, soffrendo anch'essi, che il Calvario finisca.
Cristo ripeterà la sua agonia anche tra il branco di soldati
tedeschi, dai volti arcigni e impenetrabili, che occupano quasi tutte
le case della mia parrocchia. É primavera e il pruno si è fatto
fiore: domani Cristo risorgerà dai morti, ma è una Pasqua triste lo
stesso: adesso sono i giorni del Calvario. La Pasqua verrà: ma
quando, ci domandiamo tutti, quando? Ieri sera ho fatto la
processione del Venerdì Santo. C'era poca gente: quei pochi che sono
rimasti. Donne, vecchi, bambini. Di quelli che sono partiti e ai
quali ho stretto la mano, quando sono passati a salutarmi, i più
aspettano la Resurrezione sepolti sotto la neve nelle desolate steppe
della immensa Russia o sotto le sabbie calde del deserto. Solo
qualcuno è tornato. É arrivato di notte come un ladro e di notte è
ripartito. Verso i monti: ancora la via del Calvario.
Alla
processione di ieri sera erano in pochi e come oppressi da una
immensa tristezza.
Il
massaro della Chiesa che portava la grande Croce di noce massiccio
con su inchiodato un Cristo bizantino che pareva racchiudere nel
volto scarno e nelle membra distorte tutti i dolori e le sofferenze
di quell'ora, procedeva adagio e pareva appunto l'uomo di Cirene,
angariato e costretto a portare la Croce di Gesù. Anche i quattro
vecchi che portavano il Cristo morto pareva avessero sulle spalle
curve il peso di tutte le miserie e le sofferenze umane, tanto
procedevano adagio, quasi di malavoglia, seguiti da poche donne in
gramaglie. Abbiamo fatto il giro del paese deserto: abbiamo
incontrato branchi di tedeschi, alcuni dei quali si addossavano ai
muri e abbozzavano un mezzo saluto; altri, ubriachi, che
schiamazzavano in compagnia di ragazzotte senza ideologie e senza
morale. Una cerimonia mesta: senza canti, senza spari di mortaretti,
triste come un funerale. La gente si è squagliata subito ed io sono
rimasto solo nella mia piccola chiesa vuota, davanti al Cristo morto.
Anch'io nella speranza della Pasqua.
Ora
qualcuno tossiva dalla parte della sacrestia. Era un tossire debole e
represso che appena riuscivo a percepire. Ero solo, ma non avevo
paura. In quei giorni d'incertezza la paura era un lusso che non ci
potevamo permettere. Mi avvicinai e capii subito che si trattava di
uno di quelli che stavano ai monti: di quelli che i tedeschi
chiamavano “banditi”, gli altri “patrioti”, e noi fratelli. A
malapena, illuminata dai riflessi del lumino che bruciava davanti al
Tabernacolo, ne potevo osservare la faccia barbuta e gli occhi
luccicanti che spuntavano da sotto le sopracciglia cespugliose.
“Vorrei confessarmi”, disse. “Domani è Pasqua, se ha un minuto
di tempo... sarà una faccenda breve”.
Lo
condussi nel campanile (fuori si sentiva il passo pesante e cadenzato
della sentinella tedesca che passava e ripassava davanti al portone),
si inginocchiò per terra e si confessò. Fece la Comunione e si
inginocchiò nel coro con la testa tra le mani.
Aspettavo
che si alzasse, quando m'accorsi che qualcuno picchiava contro il
portone della chiesa. Era un bussare secco come fa un corpo metallico
battuto contro un legno vecchio di millenni. Feci un segno all'uomo
del coro che pareva non essersi accorto di nulla e questi scomparve
nel campanile. Era un tedesco quello che picchiava contro la porta
col calcio del fucile: un giovanotto biondo, con due occhi chiari
come l'acqua, con il volto di bambino. Chiuse la porta in fretta, si
guardò attorno e venne verso di me. Il soldato, ora, con l'elmetto
in mano, mi chiedeva di confessarlo. “Domani è Pasqua”, disse il
crucco, “io sono cattolico; ho visto il lume in chiesa e ho pensato
che potevo confessarmi”.
Nella
sua voce c'era una domanda umile ed incerta, come se temesse un
rifiuto. Fu una cosa breve. Dal campanile, intanto, giungeva un
tossire fioco e represso dell'altro, ma il tedesco pareva non se ne
accorgesse. Andò in coro anche lui e stette parecchio tempo con la
testa fra le mani e quando si alzò venne verso di me, dopo essersi
aggiustato il fucile a tracolla. “Passi in casa”, dissi io,
“prenderà qualche cosa”. Entrò, rimase in piedi finché non gli
feci cenno di sedere. Ero passato a benedire le case e avevo delle
uova. Nella madia avevo ancora una pagnotta di pane scuro. Misi sulla
stufa un tegamino e mentre annegavo due uova nello strutto, mi
accorsi che il tedesco mi guardava in modo strano. Mi fissava con uno
sguardo triste, come se volesse dire qualche cosa. Ora il soldato si
era alzato e veniva verso di me. “Padre, chiami anche l'altro:
quello che è in chiesa. Ho visto il suo fucile nel coro e l'ho
sentito tossire. Anche lui è un soldato e anche per lui domani è
Pasqua”.
Osservavo
i due uomini che mangiavano in silenzio quello che la mia miseria
aveva preparato. Mangiavano adagio quasi per poter assaporare tutto
il sapore del pane scuro che avevano davanti e che tagliavano a
piccole fette. I fucili li avevano appoggiati vicini, contro il muro
del camino. In aprile, alle quattro del mattino è giorno chiaro.
Albeggiava. Ora osservavo il tedesco che colla mano raccoglieva le
briciole sparse sulla tavola e se le rovesciava in bocca. Nel fiasco
c'era ancora un poco di vino: ma poco. Il crucco prese il fiasco,
riempì il bicchiere dell'uomo che gli stava di fronte ed il suo: a
metà. Toccarono i bicchieri insieme e si alzarono.
“Buona
fortuna”, disse il soldato all'uomo.
“Arrivederci”
rispose l'altro. E si salutarono militarmente. Il tedesco uscì per
primo: l'altro subito dopo. Mi affacciai sulla porta a vederli
partire. L'uomo girò verso il monte e scomparve subito dietro una
siepe. L'altro si incamminò verso il centro del paese, con
un'andatura stracca ed un passo strascicato che stonava colla sua
figura giovanile.