Dante Alighieri poneva all'Inferno i diffusori di “fake news” ante-litteram
Vien da dire che l'animo umano, anche nel corso dei secoli, non è cambiato poi così tanto se, già nell'Inferno di Dante, vengono condannati i propagatori di “fake news”. Il “Sommo poeta”, ovviamente, non usa questi termini, ma parla propriamente di “falsari di parola”. Siamo nella decima bolgia dell'ottavo cerchio (Malebolge), dove vengono puniti i falsari. I canti sono il XXIX e il XXX dell'Inferno.
Sono
divisi in quattro gruppi, ovvero i falsari di metalli (alchimisti), di persona,
di parola e di monete. Veniamo dunque ai “falsari di parola”, che sono quelli
che ci interessano. Come spesso accade nella “Divina Commedia”, vengono
presentati da un altro personaggio, Mastro Adamo, a cui Dante chiede notizia di
loro. Mastro Adamo era un falsario “di metalli” e dovrebbe trattarsi,
presumibilmente, di un artigiano inglese vissuto a Bologna intorno al 1270 che
fu istigato dai suoi padroni, i Conti Guidi di Romena, a falsificare il fiorino
di Firenze. Con questa accusa fu arso sul rogo nel 1281. Dante, come detto, gli
chiede chi sono i due dannati che sono accanto a lui e che bruciano per la
febbre. Mastro Adamo li presenta proprio come “falsari di parola” e si tratta
della moglie di Putifarre, Faraone d'Egitto che, secondo la Bibbia, aveva
accusato ingiustamente Giuseppe di violenza, e il greco Sinone che aveva
ingannato i Troiani con il falso racconto del cavallo di Troia.
Se
la moglie di Putifarre è solo nominata, Sinone è protagonista di uno scontro
fisico e verbale piuttosto aspro che merita di essere riportato. Dopo essere
stato nominato, infatti, Sinone colpisce con un pugno nella pancia Mastro Adamo
che, a sua volta, risponde con uno schiaffo. Da lì prende le mosse un dialogo
interessante sulla falsità delle altrui azioni e delle proprie parole. Sinone
rinfaccia all'altro il fatto di avere le mani svelte, ma di non averle avute
così rapide quando finiva al rogo. In compenso nessuno lo batteva quando si
trattava di falsificare le monete
Mastro
Adamo che, visto che soffriva di idropisia, viene definito l'idropico, gli
rinfaccia le false parole usate a Troia, quando gli era stato chiesto, invece,
di dire la verità.
Ond’ei rispuose: "Quando
tu andavi
al fuoco, non l’avei tu così presto;
ma sì e più l’avei quando coniavi".
E l’idropico: "Tu di’ ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
là ’ve del ver fosti a Troia richesto".
Le
terzine successive sono ancora più significative perchè Sinone, da vero
creatore di “fake news” ante-litteram, non sembra rendersi conto ancora della
gravità della sua colpa, tanto da asserire di essere stato condannato “per un
fallo” (per un errore), mentre la falsificazione delle monete, ossia del conio,
è secondo lui un reato ben più grave, più di quello di tanti altri condannati
all'inferno. Mastro Adamo, però, lo inchioda alle sue colpe, e gli dà dello
spergiuro e, dopo aver gonfiato la pancia, gli ricorda che tutto il mondo sa
che è colpevole, visto che è stato scritto sull'Eneide.
"S’io dissi falso, e tu
falsasti il conio",
disse Sinon; "e son qui per un fallo,
e tu per più ch’alcun altro demonio!".
"Ricorditi, spergiuro, del cavallo",
rispuose quel ch’avëa infiata l’epa;
"e sieti reo che tutto il mondo sallo!".
In
conclusione, anche ai tempi di Dante, chi diffondeva false notizie creava
scompiglio. Allora non esistevano ancora i giornali, i social e il web, ma le
falsità facevano male anche allora. Dante ha pensato così bene di punire tutti
i falsari, anche quelli di parola, spedendoli all'Inferno.
A
noi basterebbe che i principali social network intervenissero segnalando e
rimuovendo, costantemente e in modo definitivo, i contenuti sospetti o
palesemente falsi. Qualcosa si sta muovendo, ma ancora troppo lentamente.
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