Quinto Sertorio, storia del romano che sfidò Roma
Non conoscevo la vicenda
umana di Quinto Sertorio, oratore e condottiero vissuto in anni
complessi e delicatissimi della Repubblica romana. Sono un
appassionato di storia romana da sempre ma, come noto, i grandi
perdenti e i ribelli vengono spesso dimenticati. Sembra un luogo
comune, ma non lo è più di tanto: la storia la scrivono i vincenti.
Mi sono trovato fra le
mani un libro avvincente, una biografia, o per meglio dire
un'autobiografia, di un personaggio straordinario. Poche pagine di
antefatto ci raccontano dell'arrivo a corte di Plutarco, lo scrittore
sublime delle “Vite parallele”, convocato dall'imperatore
Traiano. L'occasione è il ritrovamento di documenti vergati di suo
pugno da Sertorio, appunto, ossia la sua autobiografia. “Per certi
aspetti ricorda i Commentarii di Cesare, per altri se ne
discosta del tutto. Nel rifiuto della impersonalità, per esempio.
Sertorio rigetta l'uso cesariano della terza persona. Parla in prima.
Il vero protagonista è il suo ego”. L'autore di questo “Le pergamene di Sertorio” (edizioni Spartaco), è Nelson Martinico,
che si dimostra assolutamente a suo agio, alternando gli aspetti
storici a quelli romanzeschi. Un affresco avvincente, come dicevo
prima, che ci accompagna lungo anni turbolenti della storia romana.
Sono gli anni di poco seguenti all'opera rivoluzionaria dei Gracchi,
che ha lasciato non pochi strascichi nella civiltà del tempo.
All'orizzonte ci sono grandi sconvolgimenti, esterni ed interni.
Nemici pericolosi all'esterno, come Giugurta o i Cimbri e i Teutoni,
e figure destinate a contendersi il potere a Roma, come Caio Mario e
Lucio Cornelio Silla.
Una società romana
sempre più turpe e corrotta, mossa dalla sete di potere e di denaro,
oltre che dal desiderio di soddisfare i piaceri immediati del corpo.
Sertorio attraverserà questa storia coprendosi di gloria e
dimostrando straordinarie capacità militari, che gli costeranno
anche la perdita di un occhio. Non riuscirà mai, però, a entrare in
sintonia con il Senato romano, con gli ottimati, che gli
rinfacceranno sempre le origini popolari. “Eris sutor”, sarai un
calzolaio, l'anagramma del suo nome, che lo perseguiterà a lungo,
nonostante quel “sutor” avesse anche altre accezioni, come
“inventore” o “compositore”. Sarà amato in Gallia Cisalpina,
ma soprattutto venerato in Hispania, dove è ancora oggi considerato
un eroe nazionale.
Un romanzo
gradevolissimo, soprattutto per chi conosce un po' la storia romana,
condito di espressioni e tradizioni del tempo, che emergono nel corso
della vicenda. Si pensi solo all'esperienza delle lezioni scolastiche
che si tenevano nelle strade.
Divertente, poi, è
l'apparire all'orizzonte del racconto di tanti personaggi storici,
delineati con una certa ironia, spesso avvalendosi di riferimenti
noti o meno noti alle loro vicende storiche. Gustosissima è
l'apparizione di Cicerone, ad esempio, che nel romanzo è
semplicemente il giovane Marco Tullio, soldato piuttosto incapace
che, condannato a morte con Sertorio, riesce a far rimandare
l'esecuzione con un piccolo discorso dove, guarda caso, usa la
formula che lo renderà famoso nell'orazione contro Catilina: “Quo
usque tandem... fino a che punto abuserai della pazienza degli Dei, o
Lupo?”
E che dire del giovane
Giulio Cesare che, sprezzante, riesce a farsi liberare dalla
prigionia presso i pirati proprio da Sertorio? Sertorio gli riserverà
un pronostico non proprio fausto: “il vaticinio anagrammato dà
Idus Martiae... non so cosa significhi, ma guardati dalle Idi di
marzo, Cesare”.
Quinto Sertorio,
amatissimo dai popoli delle province, non riuscirà mai ad instaurare
buoni rapporti con i capi romani del tempo. Sarà in buoni rapporti
solo con Caio Mario ma, alla morte di quest'ultimo, l'imporsi di
Lucio Cornelio Silla farà precipitare le cose.
Giulio Cesare interpretato da Alain Delon |
Odiato dagli ottimati
e mal tollerato persino dai popolari, riparerà nella sua amata
Hispania, da cui tenterà un'impresa disperata, la ribellione a Roma
stessa. Acclamato dal popolo come un nuovo Annibale o un nuovo
Viriato, darà ai suoi uomini usi e tradizioni romane, al fine di
sconfiggere il morbo della corruzione che stava distruggendo Roma
dall'interno. Dopo aver inferto gravissimi danni agli eserciti di
Metello e Pompeo, sarà sconfitto solo con il tradimento.
Il giovane Giulio Cesare,
quasi ricambiando il pronostico, lo aveva avvertito “Non è armando
eserciti di provinciali, di ispanici, che si sconfigge la corruzione.
Roma non si abbatte dall'esterno. Il tuo progetto è titanico.
Impossibile.”
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