La macchina umana: Dylan Dog e un incubo Kafkiano
Quando
si parla di situazione kafkiana si fa riferimento, come noto, a una
situazione paradossale e assurda in cui una persona si trova senza
apparente ragione e senza alcuna possibile via di uscita. Si ricordi,
in particolare, Il Processo di Kafka, dove il protagonista scopre di essere imputato in un processo senza saperne la causa e, allo stesso
modo, senza riuscire mai a capire le ragioni di un tale accanimento,
si trova infine ad essere persino condannato a morte.
Analogo
sgomento si percepisce nelle pagine del numero di Dylan Dog
attualmente in edicola: La macchina umana. In questo caso Dylan Dog
si trova a lavorare come impiegato in una grande azienda, la
Daydream, che impone ritmi di lavoro logoranti ai lavoratori e li
vessa in continuazione, chiedendo straordinari e punendo con durezza
chi non rispetta le regole. Chi lascia per primo il posto di lavoro
deve compilare pacchi di scartoffie e chi arriva in ritardo, anche di
un solo minuto, deve scontare facendo lunghi turni di lavoro extra in
una stanza provvisoria, una sorta di cella di isolamento dove si
svolgono lavori forzati per recuperare le pratiche inevase.
Il
nostro Dylan, immemore di essere stato l'investigatore dell'incubo,
si barcamena in questa situazione paradossale e in questo mondo
governato dal consumismo, in cui i lavoratori sono solo numeri, quasi
fossero rinchiusi in un campo di concentramento.

Un
Dylan Dog che mi ha colpito e mi ha fatto anche riflettere un po',
che non è male.
Il
richiamo a Kafka ci sta tutto, anche perchè sappiamo che è un
autore che ha influenzato molto la scrittura di Tiziano Sclavi,
ideatore di Dylan, e che sicuramente trapela anche dalle parole di
Alessandro Bilotta, autore dei testi di questo racconto (illustrato
da Fabrizio De Tommaso).
Se
vi capiterà di leggerlo, fatemi sapere cosa ne pensate.
Di
certo è un po' fuori dagli schemi tradizionali della serie.
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