I grandi incipit della letteratura: Pinocchio di Carlo Collodi
Cari amici del Lettore di Provincia, riprendiamo oggi con una nuova puntata dei "grandi incipit letterari". Una rubrica molto amata dai nostri lettori, e se ne comprendono facilmente le ragioni. Spesso fin dalle prime pagine di un libro si coglie la grandezza del volume che abbiamo tra le mani. Sono pagine che restano impresse nella memoria e formano il nostro bagaglio culturale.
Oggi vi voglio presentare l'incipit, famosissimo, di "Pinocchio" di Carlo Collodi. Uscito a Firenze nel 1883, il titolo completo del libro è "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino". Ritenuto da sempre un classico della letteratura per ragazzi, nasconde molteplici interpretazioni ed è un'azzeccata metafora della condizione umana. Un libro da rileggere da adulti, senza dubbio. Spero che rileggerne l'incipit vi faccia venire questo desiderio. Io lo sto rileggendo in questi giorni!
Come andò che Maestro Ciliegia, falegname,
trovò un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino.
— C’era una volta... — Un re! —
diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete
sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di
lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si
mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per
riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un
bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio
falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che tutti lo
chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che
era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena
maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto;
e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza
voce: — Questo legno è capitato a tempo; voglio servirmene per
fare una gamba di tavolino. — Detto fatto, prese subito l’ascia
arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo; ma
quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col
braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile sottile,
che disse raccomandandosi: — Non mi picchiar tanto forte! —
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia! Girò
gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva
essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il
banco, e nessuno; guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso,
e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e
nessuno; aprì l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche
sulla strada, e nessuno. O dunque?... — Ho capito; — disse allora
ridendo e grattandosi la parrucca — si vede che quella vocina me la
son figurata io. Rimettiamoci a lavorare. — E ripresa l’ascia in
mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno. — Ohi!
tu m’hai fatto male! — gridò rammaricandosi la solita vocina.
Questa volta maestro Ciliegia restò di stucco, cogli occhi fuori del
capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù
ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana. Appena
riebbe l’uso della parola, cominciò a dire tremando e balbettando
dallo spavento: — Ma di dove sarà uscita questa vocina che ha
detto ohi?... Eppure qui non c’è anima viva. Che sia per caso
questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi
come un bambino? Io non lo posso credere. Questo legno eccolo qui; è
un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo
sul fuoco, c’è da far bollire una pentola di fagioli... O dunque?
Che ci sia nascosto dentro qualcuno? Se c’è nascosto qualcuno,
tanto peggio per lui. Ora l’accomodo io! — E così dicendo,
agguantò con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e si
pose a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza. Poi
si messe in ascolto, per sentire se c’era qualche vocina che si
lamentasse. Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla;
dieci minuti, e nulla! — Ho capito; — disse allora sforzandosi di
ridere e arruffandosi la parrucca — si vede che quella vocina che
ha detto ohi, me la son figurata io! Rimettiamoci a lavorare. — E
perché gli era entrata addosso una gran paura, si provò a
canterellare per farsi un po’ di coraggio.
Intanto, posata da una
parte l’ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a
pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in
giù, sentì la solita vocina che gli disse ridendo:
— Smetti! tu mi fai il pizzicorino
sul corpo! — Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde giù
come fulminato. Quando riaprì gli occhi, si trovò seduto per terra.
Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di
paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran
paura.
Oh, "Pinocchio" un libro che ho amato durante la mia infanzia :)
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