martedì 20 novembre 2018

I racconti di don Elio Sidoli: il vecchio mulino





Sono passati 25 anni dalla morte di don Elio Sidoli, parroco in Val Vona di Borgotaro. Anche se dire solo “parroco”, nel suo caso, è veramente riduttivo. Don Elio fu anche docente, intellettuale e scrittore. Proprio in quest'ultima veste, di straordinario narratore, lo voglio ricordare su queste pagine, presentandovi un suo racconto apparso all'epoca su “Voce del Taro”. Un racconto che indulgeva un po' al macabro e al mistero. Spero sia di vostro interesse. Il racconto è tratto dal libro "I racconti di don Elio" (Ass. Emmanueli), una pubblicazione locale da tempo, purtroppo, esaurita. Forse meriterebbe la ristampa. A presto!


Il vecchio mulino


Ero stato a visitare un ammalato e ritornavo stanco verso questo piccolo paese dove curo le anime di questi scarsi viventi. O cerco di curarle, almeno. Ormai cadeva la sera e io affrettavo il passo per poter passare, prima che scendesse la notte, vicino al mulino maledetto. Tutti qui lo chiamano così. È una vecchia bicocca, mezzo diroccata, piantata a sbilenco in un canale fra due rocce scoscese.
Quando la gente passa in quei dipressi, allunga il passo e si fa il segno della croce. Se qualcuno è costretto a passarvi di notte, e succede di rado, si conduce appresso un cane o qualche altra persona. Un vecchio solo abita in questa vecchia rovina. Un vecchio dal viso arcigno e incartapecorito, con una grande massa di capelli bianchi, sempre scompigliati come quelli di una furia.
Qui la gente giura che è diventato bianco in una notte. 
Strane storie si raccontano di lui, ma questa me l’ha raccontata egli stesso. Stavo ritornando, come dicevo, verso casa, quando ad una svolta, sopra il mulino, trovai il vecchio. Era seduto sopra un sasso e si reggeva la testa con le mani.
“Buona sera” dissi io.
E l’altro grugnì qualche cosa che non riuscii ad afferrare. Mi fermai e quello diede in una risata isterica come quella di un pazzo. Rimasi un poco meravigliato e quello cominciò a fissarmi.
“Mi avevano detto che aveva del fegato, lei - cominciò - ma io non ci credo. L’ho visto correre mentre passava vicino al mulino. O di che ha paura? Lei ora è morta, anche se tutte le notti mi tormenta. Ma questi sono affari nostri”.
Rimise la testa fra le mani e cadde in silenzio. Ormai la curiosità cominciava ad impadronirsi di me, mi sedetti anch’io e per un poco nessuno parlò. Poi fu lui ad incominciare.
“Lei crede agli spiriti? Voglio dire crede che un morto possa tornare?”
La sua voce portata dal vento della sera sembrava che venisse da altri mondi. Era una voce cavernosa, ma vorrei dire quasi affascinante.
“Mi dirà di no” proseguì il vecchio. “Ebbene mi stia a sentire. Qui tutti lo sanno come è andata. È una storia vecchia: per questo quando passano vicino al mulino si fanno il segno. E d’altra parte è vero. Lei era paralitica e urlava sempre. Io lavoravo tutto il giorno fra quelle urla e di notte andavo a dormire lontano. Ma sentivo sempre quella voce che veniva dall’inferno. Venti anni non sono un giorno, e ormai sentivo che sarei impazzito. Cominciai a pensare…
Lei mi capisce. Divenne un’ossessione. Sentivo che ormai ci sarei arrivato in qualche modo, che era inevitabile. Il maligno, ormai, mi aveva avvinto.
Una notte si quetò. Dormivo in una capanna in mezzo al bosco e ad un tratto le sue urla cessarono. Faceva così di tanto in tanto quando si assopiva per poco. L’ora della mia maledizione era suonata. Piangevo mentre andavo verso casa tenendo fra le mani una piccola cordicella, ma ormai era scritto che fosse così. Si era assopita e per me era un gioco da ragazzini. Nessuno disse quello che tutti sapevano. Fu portata al cimitero, e solo allora mentre essa scendeva sotto terra capii che ero perduto. Il prete disse le preghiere, la gente gettò una manciata di terra sopra la bara e buona notte al secchio.
Questo è successo dodici anni fa. La notte dopo il funerale dormii già nel mulino: non nella sua camera no, ma giù vicino alle macine con il capo appoggiato ai sacchi di farina. Lei ora dormiva sotto terra e non urlava più, ma io la sentivo lo stesso. Era passata una settimana circa dal fatto, quando una notte scoppiò una tempesta orribile. Una notte di tregenda. Chi si fosse avventurato fuori avrebbe sentito laggiù nella landa la voce rauca degli spiriti maligni che intessono i loro amori. Sembrava il finimondo. Ora lei non crederà a quello che io le dico, ma non importa. Ad un tratto sentii delle urla: il terrore della morte mi invase l’anima. Sentii la sua voce stridula perdersi e ritornare come prima, come quando era qui. Ero impazzito: balzai alla finestra e la vidi al chiarore sinistro di una saetta, la vidi laggiù nella landa. Era come di fuoco, gridava e attorno al collo aveva quella piccola cordicella. Era il demonio che ritornava. Vede i miei capelli? Il terrore di quella notte li ha imbiancati. Così tutte le notti di tempesta, quando si scatena una bufera, la morte mi invade l’anima perché so che ritornerà. So che le mie orecchie sentiranno ancora la sua voce agghiacciante laggiù nella landa. Sempre così. Vede quindi che i morti ritornano qualche volta, specie quando hanno avuto una cordicella appesa al collo”.
Questo il racconto del vecchio. Mentre raccontava questi orrori non si scompose: solamente a tratti sembrava che dai suoi occhi uscissero dei bagliori sinistri. Ormai era calata la notte, una notte nera come la pece. Non riuscivo più nemmeno a distinguere il vecchio anche se me lo sentivo vicino.
“Qualche volta - disse concludendo - forse finirà anche per me. Forse presto. Ora lo accompagno per un poco, ma potrebbe andare tranquillo in ogni modo, tanto non verrà stanotte. E poi ripeto sono affari nostri”.
Ora del vecchio riuscivo a distinguere solo gli occhi: due occhi rossi come due tizzoni. Avevo paura ma non tanto. Mi accompagnò per un pezzo di strada ma non disse più parola. Solo quando mi apparvero le finestre illuminate della mia casa mi lasciò.
“Buona notte - disse lui - e dimentichi quello che le ho confidato: tanto…”
“Sono affari vostri” dissi io.
Egli non rispose e ritornò sui suoi passi. Fu l’ultima volta che lo vidi. Due anni dopo in una notte di tempesta il vecchio mulino diroccò e rimase solo un mucchio di rovine. Lavorarono parecchi giorni per trovare il corpo del vecchio, ma inutilmente. Mentre scavavano intorno alla macina grossa, provai a girare un poco. In fondo, laggiù vicino al lago, il vecchio era disteso bocconi a terra già in decomposizione. Aveva in mano una piccola cordicella e il suo viso sembrava che sorridesse di un sorriso di vittoria.

Don Elio Sidoli



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