venerdì 13 marzo 2020

I racconti di don Elio Sidoli: Il monaco vecchio


Un po' di tempo fa vi avevamo proposto un racconto di don Elio Sidoli, parroco nella Val Vona di Borgotaro. A oltre 25 anni dalla morte, ci piace ricordarlo con un altro dei suoi testi. Don Elio fu sacerdote, docente, intellettuale e scrittore. Il racconto che vi presentiamo oggi, "Il monaco vecchio", indulge un po' al macabro e al mistero, ma presenta anche interessanti riflessioni sul calo demografico delle nostre valli e sulla figura degli anziani nella nostra società. Riflessioni quanto mai attuali. E' tratto dal libro "I racconti di don Elio" (Ass. Emmanueli), una pubblicazione locale da tempo, purtroppo, esaurita. Buona lettura!

Il monaco vecchio

Me ne stavo seduto sul muretto basso della canonica e osservavo con curiosità uno scricciolo dai colori variopinti, rosso e blu, con striature di marrone, che dentro la siepe fitta di mantello verde cupo, cercava un rifugio per la notte. Saltellava qua e là con cinguettii brevi ed acuti e io speravo di vedere dove si sarebbe cacciato. Alzando la testa per accendere una “nazionale”, vidi con stupore, davanti a me, appoggiato al palo del telefono, un monaco: un vecchio frate dalla barba fluente e biancastra, col suo bravo saio marrone sporco e relativo cordone bianco. E un paio di sandali scalcagnati che denotavano la fatica di un lungo andare. “Buona sera, padre”, dissi alzandomi. “Buona sera, non l'ho visto arrivare, né ho sentito i suoi passi; è strano”.
“Molte cose sono strane nella vita, fratello” rispose lui, “molte. E poi non ha molta importanza se mi hai sentito o visto. Ora sono qui: ti do fastidio?”
“No, anzi vuoi entrare?”
“Grazie: si sta bene qui. La notte è imminente e la sera è quieta. Non senti questa brezza leggera che ti accarezza con la sua mano vellutata di fata? E che pace in questa notte incipiente! E' meglio che restiamo qui, non ti pare?”
Nel cielo si erano accese le prime stelle e i campi erano pieni di lucciole: l'aria odorava del profumo acre del fieno appena tagliato e lontano, da un casolare solitario, giungeva lamentoso e monotono l'abbaiare di un cane.
“Da dove vieni?” provai ad interrogare.
Fece un gesto molto vago con la mano diafana come per dire: da lontano, molto lontano!
“Ha fame? Vuole un boccone?”
“No, grazie”, rispose sorridendo, “noi siamo abituati al digiuno: è nella nostra regola, anche se ora non serve più. È fatta per altri, non per noi”.
Il suo viso era sorridente, ma era un sorriso triste che metteva voglia di piangere: la voce calma come la notte ormai calante. La sua sagoma perdeva i contorni ed io riuscivo solo, ormai, a vedere una macchia nera e lunga appoggiata al palo.
Del viso potevo solo intravedere gli occhi che brillavano come due tizzoni e mandavano una luce verdognola: uno strano alone attorno alla faccia scarna del monaco.
“Come mai da queste parti”, attaccai io, “e a quest'ora: presto sarà notte fonda!”
“Beh, è una questione di sentimento e di nostalgia, capisci? Ho vissuto tanto tempo da queste parti e stasera mi è venuta voglia di tornare a dare un'occhiata: non è che da dove sono io non si veda fino a qui, ma così, da vicino, è un'altra cosa. Molto più bella, credimi!”
“E dove è vissuto, se è lecito...?”
“Lassù: per molti anni. Se ti dicessi quanti tu non mi crederesti: in una piccola cella dai muri trasudanti umidità e muffa. Ma ci stavo bene, altro che se ci stavo bene!”
E la sua mano indicava la chiesetta di San Cristoforo, di cui si poteva, ora, distinguere solamente il campanile che si stagliava snello e svettante in quel cielo di un azzurro cupo, bello da impazzire.
“E cosa vuole, se mi consente”.
Cominciavo ad innervosirmi e confesso che anche la paura ormai mi offriva la sua scomoda compagnia.
“Niente, fratello, niente. Sono passato di casa in casa, come facevo un tempo: questuando. E l'ho fatto per anni e annorum. Ora tutto è più facile: ci sono strade agevoli, ben tenute, comode. Una volta, ai miei tempi voglio dire, solo sentieri e stradette piccole piene di ciottoli aguzzi.
Non ho più sentito il muggire dei buoi nelle stalle, ma solo il rumore assordante di quelle macchine infernali che voi chiamate trattori. I monti sono deserti e se vuoi fare quattro chiacchiere non trovi più nessuno: devi parlare con la tua ombra o con i ricordi del passato. Non ho più percepito il canto lento dei carbonari che erano tanto numerosi. Era così bello sentirli cantare quelle vecchie nenie che oggi non conoscete più.
Ca' Scapini, comune di Compiano
E quante case vuote ho trovato nella zona! Presto cadranno e buonanotte al secchio! È una tristezza grossa, ma che vuoi, è il progresso e non ci si può fare niente!
Ho visto i vecchi che sono ancora nelle rare case abbarbicate alle due sponde del vecchio canale. Son cambiati anch'essi, come tutto. Tu non puoi capire, fratello, cosa ho provato.
Non capiresti mai! Ai miei tempi non esistevano ricoveri, pensioni, case di riposo, assistenza sociale. La gente campava vecchia perchè viveva bene, e quando raccoglieva i poveri arnesi per il lungo viaggio dell'eternità, partiva serena e tranquilla: come se andasse a coltivare un altro podere. Erano poveri, ma felici.
Ora tutti hanno la pensione, non buona ma passabile almeno e vivono bene. Eppure sono soli e tristi: almeno così li ho trovati io. I figli sono partiti per lontane sponde e hanno fatto fortuna: mandano ai loro vecchi saluti e traveler's cheques, ma non amore. E i vecchi è di questo che hanno bisogno. Vivono di poco e tu lo sai bene: di ricordi, più che di pane. L'unica miseria che hanno veramente è la solitudine. Perchè, vedi, quando c'è amore, la miseria può sempre alleviare le strettezze della fame, anche con una crosta di pane: ti pare?”

“Fai discorsi difficili, frate”, dissi io, “roba di filosofia o di qualcosa del genere: sei istruito per la tua categoria! Quasi non ti capisco”.
“È comodo, fratello, non voler capire”, proseguì il monaco con voce sommessa, “molto comodo. Invece mi hai capito benissimo! Se, invece di startene qui ad osservare lo scricciolo, tu fossi andato dal tale (e qui mi fece il nome di un vecchio che abita in una vecchia bicocca mezzo diroccata in riva al torrentaccio) a tenergli un po' di compagnia, non ti pare che avresti fatto migliore uso del tuo tempo? Anzi del tempo semplicemente, che è di Dio e non tuo? Che ne dici? Oltre tutto hai una buona macchina e ti sarebbe costato poca fatica, vero?
Quel vecchio lassù, ora sta dormicchiando, disteso sulla panca dura di castagno selvatico e sta pensando. Tu gli avresti fatto un poco di compagnia: saresti stato per lui il Buon Samaritano: altro che scricciolo!”
Cominciavo ad innervosirmi perchè quel frate ficcanaso diceva la verità e mi alzai in piedi avanzando bel bello verso il monaco.
“Amico”, sbottai, “modera la tua predica e misura le parole: la pazienza ha un limite. Capisci, frate della malora?”
“Ti sei offeso?” interrogò lui, calmo come sempre.
“Bene, è meglio così. Chissà che quello che ti ho detto non serva a qualcosa: me lo auguro. Avrei ancora molte cose da dirti, ma vedo che sei insofferente e iroso per giunta! Prova a pensare se ho ragione o no: se ti riesce a pensare qualcosa con quella baracca che ti ritrovi sopra le spalle e che tu chiami cervello. Provaci fratello”.
Mi avventai furente contro il monaco vecchio e cercai di acciuffarlo alle spalle, ma le mie mani abbrancarono solo il palo venato e rinsecchito del telefono: nero anche lui come la notte.
Mentre mi guardavo attorno per rendermi conto della faccenda, strana e misteriosa per la verità, da su in alto, portato dal vento leggero, percepivo il ridacchiare soddisfatto del vecchio frate che si allontanava. Poi si affievolì lentamente fino a confondersi con il cri cri dei grilli che salutavano, a modo loro, la luna rossa spuntata dal crinale del monte che confina con il cielo.
Ora, tutte le sere, quando scendo sull'imbrunire, ritrovo il vecchio monaco appoggiato al terzo palo del telefono.
“Buona sera, amico” dico io, sporgendomi dal finestrino della vettura.
“Buona a te, fratello” risponde il frate sorridendo, “buona a te”.
Scendo pigiando forte sull'acceleratore e vado a dormire.
Ed è un sonno tranquillo, non funestato da incubi.





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