A distanza
di qualche tempo, mi trovo a parlare ancora una volta di un bel libro
delle Edizioni Spartaco. Si tratta de “Il segreto di Bruto” di
Raffaele Alliegro, che è una piccola chicca per chi ama, come il
sottoscritto, i romanzi storici e la storia romana in particolare.
Il protagonista di questa storia è Lucio Giunio Bruto, antenato di
quel Bruto passato alla storia per l'uccisione di Giulio Cesare.
La sua
vicenda umana si colloca ai tempi del settimo e ultimo re di Roma,
quel Tarquinio il Superbo che, fin dal nome, denotava la propria
boriosità e il senso di superiorità che lo contraddistingueva. Un
re estrusco che aveva corrotto, in un certo senso, quell'anima romana
originaria, così onesta, primitiva e inflessibile, ma apparentemente
destinata a soccombere. Accanto a lui la moglie Tullia, decisa e
crudele, al punto da uccidere il suo stesso padre, Servio Tullio, il
sesto re, pur di aprire la strada al trono a suo marito. Una gestione
del potere, quella di Tarquinio e Tullia, tutta basata sul terrore, e
su un piano che cercava di estromettere progressivamente dal potere i
patrizi e, contemporaneamente, di sfruttare l'allenza dei popoli
latini, destinati però al semplice ruolo di comprimari.
E' in questo
scenario che si muove Lucio Giunio Bruto, da tutti considerato uno
stupido, uno sciocco, quasi lo zimbello della corte. In realtà si
trattava di un giovane forte, intelligente e capace di nascondere a
lungo la sua vera natura, in attesa di cogliere il momento propizio
per la sua vendetta. Tarquinio il Superbo aveva ucciso, infatti, suo
padre e suo fratello, e sua madre era morta di crepacuore poco tempo
dopo.
Tanto
insignificante e innocuo, all'apparenza, da far compiere a Tarquinio
un tragico errore di valutazione, quello di volerlo accogliere in
casa sua, mal consigliato dal sacerdote Spurinna, che già aveva
visto, nel fegato degli animali, il destino del giovane.
E mentre i
figli di Tarquinio lo canzonavano, Tullia gli assegnava un nome che,
a dire suo, doveva designarlo e bollarlo nella sua inutilità: “Ci
vuole un altro nome e io ho un'idea, so come si trattano quelli come
lui. Non è intelligente, non ha grazia. Non ha il fascino di Sesto,
né la forza di Arruente, né l'astuzia di Tito. È stupido, sporco e
abbrutito dall'ignoranza come i contadini che lavorano per noi
nell'ansa del Tevere. Lo chiameremo Bruto. Così non gli verranno
strani pensieri per la testa”. “Nomen omen”, dicevano i latini,
sottintendendo che nel nome è contenuto il nostro destino. Se
avessero saputo cosa quel nome avrebbe significato nella storia di
Roma, forse avrebbero sogghignato meno.
Seguiremo
così le sue vicende nella guerra contro Gabii e contro Ardea, dove
il Superbo rivelerà la sua capacità, a suo modo animalesca, di
agire con l'inganno e l'astuzia, per raggiungere i suoi fini. Ma il
destino dell'ultimo re di Roma era già segnato e la sua stella
volgeva ormai verso il tramonto. L'aveva previsto anche la Pizia,
l'oracolo di Delfi, che già vedeva il futuro della gloria romana e
vedeva il ruolo centrale che Bruto avrebbe avuto in quel momento
rivoluzionario. Il destino si servirà, per questo scopo, di Sesto,
figlio di Tarquinio il Superbo, che usando violenza a Lucrezia,
moglie di Lucio Tarquinio Collatino, darà modo ai fatti di giungere
a compimento.
Il suicidio
di Lucrezia scatenerà una tempesta difficile da placare.
La rivolta
del popolo, aizzato da un emozionante discorso di Bruto, porterà al
tramonto della stessa monarchia e all'istituzione della Repubblica
romana.
Primi
consoli saranno proprio Collatino e Bruto. Quest'ultimo sarà un
console inflessibile, tanto da far giustiziare persino due dei suoi
figli, rei di aver tramato contro la Res Publica. Bruto morirà
infine in battaglia.
Il libro si
conclude, idealmente, con l'uccisione di Giulio Cesare, anche lui, a
suo modo, reo di aver tramato contro la Repubblica romana e ucciso da
diversi congiurati tra cui un altro Bruto, Marco Giunio. Nomen omen,
dicevamo precedentemente. Quando qualcuno tramava contro la
Repubblica romana, appariva all'orizzonte un Bruto a cercare di
riportare ordine. Trattare della morte di Cesare richiederebbe però
una lunga argomentazione, e non è il caso di parlarne qui.
L'autore del
libro è Raffaele Alliegro, caporedattore de “Il Messaggero” che,
muovendosi all'interno dei cardini storici fissati da Tito Livio, Ab
Urbe condita, costruisce un romanzo avvincente e verosimile, che
fa divulgazione storica in modo intelligente ed avvincente.
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