Ci stiamo avvicinando anche quest'anno alla Santa Pasqua, dove si ricorda la morte e Risurrezione di Gesù: è
la festa più bella di tutto l'anno per noi battezzati che, credendo
e mettendo tutta la nostra speranza in Gesù, ardentemente speriamo
che anche noi risorgeremo. Certo, quest'anno sarà una Pasqua un po' triste, costretti a stare in casa per il rischio del contagio e nell'impossibilità di andare in chiesa per festeggiare in modo tradizionale.
Voltandoci indietro al tempo della nostra infanzia, vediamo come si festeggiava l'arrivo della Pasqua allora. Si cominciava il Giovedì Santo, come ora, con la preparazione del Santo Sepolcro.
Voltandoci indietro al tempo della nostra infanzia, vediamo come si festeggiava l'arrivo della Pasqua allora. Si cominciava il Giovedì Santo, come ora, con la preparazione del Santo Sepolcro.
A dire il vero si cominciava già
due mesi prima, seminando in cantina il grano che poi, nascendo, si
trasformava in erba bianca, da mettere nel Sepolcro, insieme ai fiori
più belli che ogni famiglia portava in chiesa.
C'era poi un'altra
tradizione che si chiamava “battere Pilato”, cioè ci ritrovavamo
in chiesa e, tutti d'accordo, facevamo un colossale baccano battendo
i piedi e picchiando sui banchi, per protestare contro la decisione
presa da Ponzio Pilato.
Inoltre si saliva sul campanile e si legavano
le campane, che rimanevano legate fino al sabato successivo, dopo di
che venivano slegate al suono di una conchiglia gigante che,
soffiandoci dentro, emanava un suono di tromba che rimbombava in
lontananza, facendosi sentire da un paese all'altro. Tutti allora
correvamo alla fontanella a lavarci gli occhi, perchè quando la
campana della chiesa suonava, l'acqua diventava benedetta. Io, che
abitavo l'ultima casa del paese, sentivo flebilmente il suono della
campana e tutta la mattina l'attendevo, aguzzando l'udito per
sentirla. Poi correvo velocissima a lavarmi gli occhi alla fontana,
lontana più di 200 metri, perchè allora l'acqua potabile non era
ancora giunta nelle case.
Avvicinandosi alla Pasqua, si faceva un
altro gioco molto simpatico con le uova di gallina (allora infatti
anche le uova di cioccolato erano un tabù per noi, perchè costavano
troppo, ma quando non c'è denaro ci si ingegna in un altro modo).
Siccome, infatti, di uova di gallina ce n'erano in abbondanza, si
veniva a Borgotaro e, con 5 o 10 lire, si comprava dai cartolai carta
colorata e si coloravano le uova con la carta, messa nell'acqua a
bollire. Così, mentre si solidificavano, si coloravano di rosso,
arancione, blu e giallo. Il verde, invece, lo ottenevamo con erbe
varie trovate nel campo. La domenica di Pasqua, dopo il vespro, nel
piazzale della chiesa, noi bambini giocavamo con le uova sode a
“dietro contro punta”, che consisteva nel battere le uova una
contro l'altra e vinceva chi riusciva a non far rompere il proprio
uovo. C'era un ragazzo che vinceva sempre, tra l'ammirazione e lo
sdegno generale. Io ho sempre pensato che il trucco c'era, anche se
non si vedeva. Molti anni sono passati da allora. Ora lui è tornato
dall'estero, dove è andato a lavorare per tanti anni e mi ha
confidato che il suo uovo l'aveva costruito da sé, ed era fatto di
terra lerica, e poi pitturato. Pensandoci oggi, penso che era stato
un piccolo genio a costruirlo, perchè l'uovo era molto simile ai
nostri, e anche guardandolo da vicino nessuno se n'era mai accorto.
Il Venerdì Santo, quando le
campane erano legate, usavano uno strumento che noi chiamavamo
“sgrisula”, che era formato da una ruota dentata e un'assicella
che, azionato con una manovella, emetteva un suono simile al
gracidare delle rane.
La sera poi del Venerdì Santo, come si fa
ancora adesso, si portava in processione il Cristo Gesù morto,
accompagnandolo con torce e belle luci lungo tutto il tragitto, e con
fuochi d'artificio dai fiori fosforescenti, che in cielo disegnavano
magnifici arabeschi. Pregando tutti insieme, attraversavamo il paese
per ritornare in chiesa per la benedizione e il saluto, con il
proposito di ritrovarci presto.
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