Giuseppe Ungaretti e quelle sue riflessioni così attuali sul futuro della poesia e della società
Da
qualche anno a questa parte, le dinamiche del mondo letterario riservano
ingiustamente alla poesia un ruolo marginale. Non si discute in questo caso del
valore della poesia in sé, da tutti riconosciuto, quanto dell'aspetto meramente
commerciale. La maggioranza dei lettori predilige il genere romanzo e gli
editori assecondano volentieri i loro gusti. Basti pensare che nel rapporto sul mercato del libro 2019 in Italia,
pubblicato dall'AIE (Associazione italiana editori), laddove si parla di generi
letterari, la poesia non risulta neppure citata. Si parla di narrativa
(italiana o straniera) di “non fiction specialistica” (libri di psicologia o filosofia) e di “non fiction generale”
(politica e attualità, divulgazione scientifica, costume). Altrove si parla dei
libri per bambini e ragazzi, ma di poesia neanche l'ombra.
Ripensavo così ad una riflessione del grande poeta
Giuseppe Ungaretti di cui quest'anno, peraltro, ricorre il 55° anniversario
della morte, occorsa a Milano nella notte tra l'1 e il 2 giugno 1970.
Parole riprese da molti critici, tra
cui Leone Piccioni in “Vita di un poeta: Giuseppe Ungaretti”, ma che, rilette
ora, assumono una dimensione quasi profetica, perchè sembrano prefigurare il
mondo di oggi in generale, e non solo quello letterario.
Lasciamo la parola al poeta: “Io credo che il giorno che non ci sarà più la poesia, non
ci sarà nemmeno l’uomo. Il modo tecnico di far poesia può anche mutare, non so
né come né quando, se necessità nuove esigeranno che l’uomo si esprima in un
modo diverso, con parole diverse, o che parli un linguaggio più rapido; ma
l’uomo non potrà vivere senza poesia, perché essa rappresenta il secreto non
solo di chi riesce, così per dono, a scriverle sulla carta, ma di tutti, perché
tutti l’hanno nell’anima”.
Quando si parla di “un
linguaggio più rapido” non si può non pensare al cambiamento del
linguaggio e alle abbreviazioni imposte prima dall'uso degli sms, e poi alla concisione richiesta dall'uso di
Twitter. La poesia esiste ancora, si è talvolta trasferita nei versi delle
canzoni o in brevi tweet, ma rimane anche nelle pubblicazioni tradizionali, che
però diventano sempre più di “nicchia”.
Il secondo passaggio che
voglio citare, che è anche quello più forte e inquietante, presuppone
l'eventualità della scomparsa della poesia. Leggetelo con
attenzione:
“O l’uomo cessa di
esistere, e allora al suo posto verrà fuori una specie di burattino che si
muove automaticamente, o resta ancora uomo con tutte le sue qualità
fondamentali (fantasia, sentimento, senso di comunione con gli altri, ecc...);
in questo secondo caso, la poesia per forza continuerà a vivere”.
Il pensiero corre ai tanti
giovani, e non solo, incollati ai loro smartphone, incuranti di quello
che accade all'esterno della loro bolla “social” o, ancora peggio, alla
creazione sempre più sofisticata di automi programmati per eseguire ordini e
indicazioni dei programmatori. Questo viene alla mente, leggendo le parole di
Ungaretti.
Forse dobbiamo invertire un
po' la rotta. Non si tratta certo di scollegarsi radicalmente dalle nuove
tecnologie. Non sarebbe possibile, né auspicabile. Vorrebbe dire escludersi dal
mondo del lavoro, dell'informazione e dalla modernità. Non siamo più negli anni
'70.
Però riuscire a ritagliarsi
qualche momento in più per la lettura, e per noi stessi, non sarebbe male.
Riscoprire la poesia, inoltre, sarebbe un ulteriore accrescimento.
Certo, leggere una poesia
non è semplice, richiede costante attenzione, riletture e riflessioni. Dobbiamo
però riprenderci il tempo necessario. Ne usciremo migliorati. D'altronde ne
vale la pena perchè, come scriveva Ungaretti nella poesia “Commiato”: “poesia/è
il mondo l'umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola”.

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