venerdì 31 maggio 2013

Aldo Boraschi - “Al limite del buio”




Voglio condividere alcune riflessioni sul bel libro di Aldo Boraschi “Al limite del buio”, che è stato presentato oggi, 31 maggio, al bar “Odissea” di Borgotaro.
Il libro di Aldo Boraschi prende le mosse da un omicidio...
A Lavagna, un pensionato viene trovato ucciso. La vittima è Giovanni Battista Bernabò, detto Giobatta. Una vita senza ombre, una morte inspiegabile. Nessun indizio, solo due parole farfugliate ad un Carabiniere prima di morire: Cavi... gna...
Ma le indagini, più che dai Carabinieri, sono portate avanti da Fabio Riccò, giornalista della piccola emittente televisiva Teletua. Fabio era il protagonista anche del precedente romanzo di Boraschi. Nella sua figura, l'autore ha forse condensato alcuni aspetti della propria autobiografia, in particolare l'esperienza di lavoro presso la tv valtarese “Videotaro”, che allora nasceva. Nel libro, Fabio viene descritto così: “capelli eternamente scarruffati e leggermente ingrigiti all'altezza delle tempie”, vive una vita da “mediano”, ha trascorso “anni protratti in lancinanti insoddisfazioni, e ribollimenti interiori, a volte virulenti, a volte corrosivi, ma sempre presenti”. Inoltre, la sua è “una vita per procura, a far nascere personaggi da prima pagina per poi esserne il becchino”.
E' un ottimo giornalista, ma non è apprezzato appieno nel suo lavoro. E' oppresso da un direttore insopportabile che si prende tutti i meriti, lo stipendio arriva a singhiozzo...
Al suo fianco un gruppo di personaggi difficili da dimenticare: l'amico del cuore Carlo, il maresciallo Nusca, l'impiegato dell'ufficio anagrafe Luca Pinaggia, il pm Maria Furlato, Giamma...
Massimo Beccarelli e Aldo Boraschi (Foto Agitati)
Sullo sfondo, la terra di Liguria, da Lavagna a Chiavari, da Cavi a Portofino.
Ma non è solo la Liguria del mare, dei panorami mozzafiato, della luce. E' una Liguria fatta di luce e ombra. Come ha scritto lo scrittore savonese Daniele Genova: “Non è possibile raccontare la terra di Liguria, se non così: a colpi di luce, giochi d'ombra, rapidi tocchi di pennello”. E' questa Liguria “nera” a fare da sfondo al romanzo di Boraschi. Ma non c'è solo la Liguria, c'è anche quella terra di confine che va da Bedonia a Chiavari, passando per il passo del Bocco.


E così si prosegue nella lettura, una lettura gradevole, ricca di spunti anche ironici. E infine, tra Russi e Orsanti, con un passato che ritorna prepotente e il sentimento della vendetta che aleggia su tutta la storia e la fa da padrone, si giunge al finale che, come sempre accade in questi casi, è a sorpresa. Ma ovviamente non sta a me rivelarlo.
Massimo Beccarelli

venerdì 17 maggio 2013

Com'era Borgotaro nel 1861?


Borgotaro, foto storica



Sono state molte, un paio d'anni fa, le celebrazioni dedicate al 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Oggi ci sembra interessante ritornare sull'argomento, perchè ci è capitato recentemente di consultare un testo antico, pubblicato proprio nel 1861, che parla del nostro paese. Si tratta del “Dizionario topografico dei Comuni compresi entro i confini naturali dell'Italia” compilato da Attilio Zuccagni-Orlandini, e pubblicato a Firenze dalla Società editrice di patrii documenti storico-statistici.
Il corposo volume, si legge nel Proemio, era stato pubblicato “per far conoscere ai connazionali i tanti Comuni nei quali essa è divisa, di una gran parte dei quali nemmen conoscesi il nome”. Prima dell'Unità, come noto, l'Italia era ancora divisa in tanti stati, indipendenti l'uno dall'altro, e una pubblicazione di questo genere poteva servire per rafforzare il vincolo di appartenenza a un unico stato. I Comuni sono elencati in ordine alfabetico e Borgotaro figura a pagina 202. Leggiamo il testo: “Borgotaro è una piccola città situata sulla sponda sinistra del Taro, ed in amena posizione. I suoi terreni sono in generale ben coltivati. Vi si produce grano, vino, castagne, fieno, patate, e frutta saporitissime: le uva dei contorni sono per lo più primaticce”.
In seguito vengono illustrate le vicende storiche del nostro paese, e si nominano alcune casate che lo hanno dominato nei secoli: Malaspina, Fieschi, Visconti, Sforza, Farnese. Più interessante, però, è il seguito, che merita di essere citato quasi integralmente:
Borgotaro è ricinto di mura ed ha tre porte: ha edifizj anche di bello aspetto, con strade lastricate tutte di pietre arenarie. La chiesa maggiore (cioè S.Antonino) è posta in una piazza in faccia al Taro, nel mezzo alla quale s'inalza un obelisco in marmo, di cattivo gusto, postovi a memoria di Elisabetta Farnese allorchè andava regina in Spagna”. Chissà perchè il monumento di Elisabetta, ora collocato nei giardini piccoli, non piacque allo scrittore. Proseguiamo la lettura: “A non molta distanza dalla porta verso il Taro (Porta Portello) incontrasi un solido ponte di pietra di parecchi archi sul torrente medesimo, a cui sovrasta un esteso edifizio che fu già convento degli agostiniani”; Segue un passo meno chiaro: “é ivi, (cioè accanto al convento degli agostiniani), che trovasi il maglio di ferro detto del Borra”. Si trattava, con ogni probabilità, della fabbrica del ferro della famiglia Borra, situata nell'edificio posto al fianco della chiesa di S. Rocco, che in seguito avrebbe avuto la funzione di mulino. Proseguiamo: “A pochi passi da Borgotaro vedesi una bella fontana erettavi dalla famiglia Bertucci, circondata da sedili di pietra: è reso quel sito delizioso per l'amenità della posizione, e per gli alberi che lo attorniano”. La settecentesca fontana Bertucci, già descritta dal capitano Boccia che, nel suo 'Viaggio ai monti di Parma' (1804), esprimeva parole di ammirazione, era collocata in un luogo sulla destra del fiume Varacola, nel prato detto d'Vantèin. La fontana oggi non esiste più: ancora visibile fino a metà degli anni '70, fu in seguito demolita da una ruspa per far spazio a una nuova costruzione. 
Borgotaro, il Teatro della Comunità
La nostra lettura si conclude con queste parole, in cui si parla, con parole lusinghiere, del Pio Istituto Manara, e si accenna soltanto, purtroppo, al nostro teatro: “Un istituto fondato dall'abate Domenico Manara è destinato alla dotazione e all'istruzione delle fanciulle, non meno che all'avviamento dei giovani nella carriera delle scienze e delle arti. Ha una biblioteca non senza opere scelte e rare, un archivio pieno di antichi documenti, e un teatro”.

martedì 14 maggio 2013

La scrittrice Stella Stollo ospite a Borgotaro




Giuseppe Marletta, Stella Stollo e Massimo Beccarelli



Sabato 11 maggio, la “Biblioteca Manara” di Borgotaro ha ospitato la scrittrice Stella Stollo.
Nata ad Orvieto, una laurea in Lingue e Letterature Orientali presso l’Università di Venezia, è insegnante di scuola primaria in un paese in provincia di Siena.
Al tavolo dei relatori si sono alternati Elisa Delgrosso (direttrice della biblioteca), il prof. Massimo Beccarelli (insegnante di lettere e moderatore), Giuseppe Marletta (scrittore) e l’autrice.
É stato un pomeriggio ricco di stimoli culturali interessanti, in cui si è parlato di scrittori emergenti, del mondo dell'editoria e di molti altri temi di carattere culturale.
Elisa Delgrosso ha ricordato “La vetrina degli autori emergenti”, l'iniziativa della biblioteca finalizzata appunto a far conoscere al pubblico le opere di scrittori alle prime armi, e poi ha fatto un breve curriculum della Stollo, evidenziandone la vasta cultura e i molteplici interessi, oltre agli ottimi risultati conseguiti come scrittrice (il romanzo "Io e i miei piedi" ha vinto nel 2011 il premio letterario “Cogito ergo scrivo”). La parola è poi passata all'autrice Stella Stollo, che ha ricordato come la scrittura dei romanzi abbia rappresentato la coronazione di un progetto maturato sin dall’infanzia, quando aveva sviluppato una profonda passione per la lettura, che l’ha portata ad interessarsi di vari generi letterari, in particolare di romanzi storici. Da lì a diventare scrittrice, il passo è stato breve. Ha poi preso la parola il prof. Beccarelli, che ha illustrato brevemente i contenuti dei due romanzi, “Io e i miei piedi” e “Algoritmi di capodanno”.
Il protagonista del romanzo “Io e i miei piedi” è Mirco, un trentenne avviato a una brillante carriera: una laurea col massimo dei voti, un master prestigioso, una fidanzata con cui progetta di sposarsi a breve. Una vita perfetta, all'apparenza, un futuro roseo. In realtà Mirco sta male. La madre è invadente, la fidanzata asfissiante, parenti e amici opprimenti. E' lui stesso a raccontare la sua storia. Torturato dall'ansia e da una strana inquietudine, decide di seguire il consiglio dell'analista della madre e inizia a scrivere le sue memorie: la scrittura diventa così una terapia liberatoria, che permette di fissare sulla carta i pensieri negativi e liberarsene. Sono “Memorie Semiserie di una malattia esistenziale”, per citare il sottotitolo del romanzo. Non può non venire alla mente il personaggio letterario di Zeno Cosini, il protagonista di un famoso romanzo di Italo Svevo, che, assecondando il suo psicanalista, scrive e ricorda confusamente episodi del passato. E' quello che fa anche Mirco, che ci racconta la sua vita, la cerimonia di laurea, la convivenza con la fidanzata, i preparativi per il matrimonio. Su tutto, però, incombe lo spettro della malattia, una dermatite ai piedi, di cui non si conosce l'origine, che rende la sua vita un calvario. Non può lavorare, diventa sempre più dipendente dalla madre e dalla fidanzata. Si lascia trascinare, è spesso inerte. E in questa inerzia si adagia sempre di più... Così le vicende si susseguono, spesso grottesche o comiche. Mi permetto di aggiungere “umoristiche”, nell'accezione che del termine “umorismo” dava lo scrittore Luigi Pirandello. Egli sosteneva, infatti, che esistono situazioni della vita che fanno ridere sul primo momento, ma nascondono realtà dolorose. Così ci sono passaggi in cui si è tentati di ridere del nostro protagonista che magari, chiamato a un colloquio di lavoro, fugge a rotta di collo e si gratta furiosamente i piedi... ma se pensiamo alla desolazione della sua vita, la disoccupazione, l'ansia che lo tormentano, al riso non può che sostituirsi l'amarezza. La vita di Mirco però, ben presto muterà radicalmente. Il suo Destino lo attende lungo una spiaggia.
Il secondo libro presentato è “Algoritmi di Capodanno”. É la storia di Cinzia, 40enne piena di impegni, organizzatrice di eventi. Un po' preoccupata dall'avanzare dell'età, dalle prime rughe. Una laurea in matematica, che influenza anche la sua visione della realtà. Si legge nel libro: “Crescendo, il mio istinto infantile ha trovato conferma scientifica nella teoria per cui alla base dell'Universo ci sarebbero elementari leggi matematiche, algoritmi semplici che conducono alla produzione di un'infinita varietà e complessità di forme bizzarre, tanto da generare ciò che pare caos e caotico non è”. Una vita lavorativa soddisfacente, ma una vita amorosa deludente. Nessun fidanzato, solo un amico virtuale, dal nome emblematico di Adriano Meis (come noto, è il nuovo nome che prenderà Mattia Pascal, protagonista di un famoso romanzo di Pirandello).
Il libro racconta le vicende di Cinzia e, con grande originalità, si sofferma a tratti su complesse teorie matematiche, sul linguaggio della musica e della geometria, su movimenti artistici. Dopo una serie di strane coincidenze, e con il caso che sembra farla da padrone, la protagonista si troverà, controvoglia, a Capodanno a discutere dell'organizzazione di una mostra con un artista di nome Mattia Corsi. E proprio l'ultimo dell'anno accadrà qualcosa che attendeva da troppo tempo...
È poi intervenuto Giuseppe Marletta, cha ha ringraziato i presenti, per la loro attenzione e costanza, Elisa Delgrosso per aver avviato l’iniziativa che permette anche agli autori emergenti di avere appunto una propria “vetrina” anche a Borgo Val di Taro, e l’autrice per aver accettato l’invito a venire in Valtaro per presentare le sue opere, confrontandosi con un’altra realtà e condividendo le comuni esperienze di scrittrice emergente. Si è soffermato poi su alcune particolari caratteristiche dei protagonisti dei romanzi ed ha posto alcune domande all’autrice (sui significati delle opere, sui loro riferimenti sociali, culturali, storico e geografici, sui generi letterari di riferimento e sulle motivazioni che hanno determinato la stesura dei romanzi), creando poi un piacevole duetto, soprattutto sugli “sforzi” degli scrittori emergenti, che ha interessato e coinvolto il pubblico.





mercoledì 8 maggio 2013

Anni '60 a Borgotaro: Dal castello alla "Casa del Fanciullo"

Il Castello di Borgotaro.

Durante estate del 1958, fervevano i lavori intorno alla chiesa parrocchiale di Sant’Antonino. L’area interessata dai lavori era quella situata al fianco della chiesa, dove attualmente sorge il campetto di gioco per i ragazzi, e l’area un tempo occupata dal vecchio castello, in parte abbattuto. Da tempo era emersa la necessità di trovare nuovi spazi per l’asilo, che allora aveva sede nella cosiddetta Casa dell’Abate, l’edificio ancora noto a tutti come “asilo vecchio”. Il nuovo arciprete di Borgotaro, Mons. Francesco Corsini, insediatosi nel 1952, aveva espresso tutta la sua preoccupazione perché riteneva che quei locali non fossero idonei ad ospitare i bambini. 
Scriveva infatti nel 1955 su “La mia parrocchia” (così si chiamava allora “Voce del Taro”): “A dieci anni di distanza dalla fine della guerra, il problema della scuola materna di Borgotaro non ammette più proroghe ne differimenti. Sapete in quali angusti e infelici locali sono ancora ospitati i bimbi di Borgotaro. Non deploreremo mai abbastanza quindi l’aver rinviato fino ad adesso la impostazione di questo importantissimo problema”. Si trattava quindi di costruire un nuovo asilo. Dove costruirlo però? Con quali fondi? Tutti problemi non di poco conto. L’anno prima era nato anche un comitato apposito. Chi ne faceva parte? Ci informa Giacomo Bernardi: “In un verbale redatto in data 27 agosto 1954… si può leggere che si sono riuniti i Sigg. Marchini Camia Dott. Francesco, Ferrari dott. Giuseppe, Terroni ing. Luigi, Suor Luisa Borgna e Nigito dott. Angelo allo scopo di costituire un Comitato provvisorio per lo studio dei problemi inerenti alla costruzione dell'Asilo. 
A far parte del Comitato sono invitati anche i Sigg. Terroni Luigi, Albertoni Conte Carlo, Benetti Matilde. Dopo uno scambio di idee il Comitato ha deciso di riunirsi su invito di Mons. Corsini" (Giacomo Bernardi, L’Esilu, cent’anni di asilo a Borgotaro, Associazione Emmanueli, 1997). L’arciprete riteneva che la sede ideale per il nuovo asilo fosse quella allora occupata dal castello, già in parte demolito e pericolante. Negli anni precedenti, tuttavia, c’era chi voleva che lì sorgesse il nuovo Palazzo Comunale. Dopo non pochi contrasti, nella riunione del Consiglio Comunale del 5 febbraio 1956, i consiglieri votarono all’unanimità di “cedere al Comitato Promotore della costruenda Casa del Fanciullo l'area risultante dall'abbattuto castello e "quella attigua del macello, appena sarà liberata" (Giacomo Bernardi, op. cit.). 
Su “Voce del Taro” di giugno-luglio 1958 si legge: “I progetti… richiedono vasti spazi per cortili, aiuole e specialmente per i nuovi edifici indispensabili alla assistenza dei bambini”. Per questa ragione, i sacerdoti sacrificano anche l’orto curiale, una zona verde attigua alla canonica, dove erano soliti fare qualche passeggiata tra i fiori e gli alberi. La stessa vecchia canonica viene abbattuta: “In questi giorni è la vecchia canonica che cade sotto il piccone, isolerà la nostra bella chiesa e darà maggiore spazio al cortile di ricreazione dei nostri ragazzi”. Restavano in piedi i ruderi del vecchio castello, che dovevano essere rimossi. 

I lavori tuttavia si incagliarono. Si legge su “Voce del Taro” : “Non è possibile far nulla se non si libera questa area. La demolizione del muro ancora restante del vecchio Castello è stata fermata dalla necessità di permettere ancora le macellazioni. Fino a quando? Vogliamo sperare che le pratiche burocratiche che ancora si frappongono abbiano da venire disbrigate con sollecitudine”. 
Ci volle ancora qualche anno prima che l’opera fosse definitivamente conclusa: “Il 12 luglio 1963 Mons. Umberto Malchiodi, Vescovo di Piacenza, partecipava alla posa della prima pietra della "Casa del Fanciullo" e nel luglio del 1965 veniva inaugurato il primo lotto dei lavori. Nel 1970 veniva collaudata l'intera opera. La Scuola Materna di Borgotaro aveva finalmente una sede nuova e dignitosa” (Giacomo Bernardi, op. cit.)

mercoledì 1 maggio 2013

Bruno Raschi "Ronda di notte"




Nei prossimi giorni tanti scriveranno di Bruno Raschi nel trentesimo anniversario della sua scomparsa. Per ricordarlo, preferisco lasciare la parola a lui... Vi riporto il famoso passo di un articolo apparso sulla "Gazzetta dello Sport" del 28 maggio 1960, in occasione del primo passaggio del Giro d'Italia a Borgotaro.

"Bella era la sera, tranquillo il mare. Era una notte soave, piena di magnifici sentori. Io precedevo la corsa con allunghi di appassionata fantasia fino a Pontolo e alla Pieve, alle porte del mio Borgo che non l'aveva vista mai e l'attendeva come un'eredità morgana, che per anni gli era stata promessa e tolta quasi che mai la meritasse. Finalmente, per la gente del mio paese, il dispetto era finito; già la vedevo far grande festa per le strade in un concerto dialettale di campane, ch'io solo avrei compreso del tutto. Il Giro approdava al mio fiume per sorseggiare l'acqua del Tarodine, un'acqua fresca e miracolosa, scaturita da un divino monte che gli avrebbe propiziato il buon viaggio e il buon ritorno. E mi sentivo contento".