mercoledì 3 gennaio 2018

Tra leggenda e realtà: Nola e le "caselle"

Racconto di Rita Santini




Se mi appresto a scrivere, oggi, è perché vari amici di infanzia mi hanno pregato di farlo e io ben volentieri li accontento, sperando anch’io come loro di rivivere l’incanto di ciò che i nostri monti, con le loro meraviglie, suscitano nel nostro animo. Dove mi reco si potrebbe raggiungere anche in fuoristrada, ma preferisco andare a piedi per soffermarmi maggiormente e godere di ciò che la natura mi offre. Parto un giorno, sola, e dopo varie ore di cammino mi ritrovo su in alto sopra la macchia di Albareto e di Rovinaglia e poi su su fino al confine dei Due Santi. È incantevole l’ambiente, e mi invita alla preghiera, incontro fiori di straordinaria bellezza, farfalle di vari colori, animaletti veloci che mi attraversano la strada, mi sembrano puzzole o scoiattoli. In lontananza vedo un lupo, forse randagio, che al sentore dei miei passi fugge veloce, accompagnato dal canto di uccelli dai colori variopinti. Mi viene incontro un gruppo di cinghiali, rumorosi e paurosi, che scappano grufolando. Ci sono stupendi cavalli tranquilli che mangiano l’erba. È una gran bella giornata e di lassù il sole che spunta nel cielo è bellissimo e illumina tutto. Giù in basso c’è nebbia e si vedono lontanissime le case di Valdena. Qui sotto di me in una conca, dirimpetto a dove scorre il fiume Tarodine, vedo Nola. Un gruppetto di case di sasso col tetto coperto di paglia: ci passo accanto e mi sembra di udire ciò che ho sempre sentito da conoscenti e parenti ora quasi tutti passati a miglior vita. Odo sprazzi di discorsi, voci allegre di bimbi che giocano, e quell’odore di buon legno che bruciava nelle stufe a due buchi, e ardeva così caldo da seccare le castagne messe sull’essiccatoio che toccava quasi il sottotetto. Tutt’intorno mi par di udire ancora suonare le sonore campanelle attaccate al collo delle mucche pasciute che brucavan l’erba, guardate dai miei amici, i bimbi di allora, e ora uomini adulti che fanno lavori di prestigio, importanti, giù nelle città per la collettività. Se in tempo di guerra questi posti e questi monti sono stati un nascondiglio e rifugio sicuro dalla barbarie, per i nostri sfollati, ora sono diventati ricordo di pace e di gioia per tutti noi. Mi volto e mi appare una massaia sorridente che, sbucando all’improvviso da una porta sul retro, mi invita ad entrare per chiedermi un sacco di cose e parlare all’infinito di tutto ciò che è successo in quel periodo, e offrendomi tutto ciò che ha di buono in casa, così gentilmente che si offende persino se non lo accetto. Mi ridesto dal mio sogno ad occhi aperti e proseguo il mio cammino. Mi incammino su di un impervio sentiero, e mi trovo ad attraversare il “burrone”, mentre nel mio inconscio risento la voce di mia madre che racconta che questo era un luogo che, a quei tempi, prediligeva, per l’abbondante raccolta di deliziosi funghi porcini; ma una volta dovette lasciarli tutti lì, perché sopra la sua testa udì fischiare tanto forte qualcosa, ed ella intuì fosse una biscia o peggio ancora, una vipera, ma comunque qualcosa di non molto simpatico. 
Ella ebbe molta paura, e corse via più veloce di una freccia, per non voltarsi mai più indietro. Scendo e incontro ancora simpatici rustici: sono le Caselle di Rovinaglia. Sussistono ancora e diverse sono state recentemente restaurate, e fino a qualche anno fa, i valligiani di Rovinaglia venivano ad abitarci ancora, durante il periodo della raccolta dei funghi, che essiccavano sul posto e, dormendo qui, potevano essere i primi la mattina successiva a raccogliere le primizie fungine.

È stata un’escursione fantastica, per me che amo la natura e spero anche per voi. È stato un po’ rivedere le abitudini dei nostri avi che, con poco, sapientemente sapevano vivere, aiutandosi l’un l’altro quando erano nel bisogno e soprattutto pregando e affidandosi a Dio, a Maria e ai Santi. Questo si vede e si tocca con mano, incontrando molte Cappelline, lasciate a noi in eredità nei secoli, disseminate sui sentieri della montagna e vicino alle Caselle dei nostri paesani.

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