sabato 30 aprile 2016

La macchina umana: Dylan Dog e un incubo Kafkiano





Quando si parla di situazione kafkiana si fa riferimento, come noto, a una situazione paradossale e assurda in cui una persona si trova senza apparente ragione e senza alcuna possibile via di uscita. Si ricordi, in particolare, Il Processo di Kafka, dove il protagonista scopre di essere imputato in un processo senza saperne la causa e, allo stesso modo, senza riuscire mai a capire le ragioni di un tale accanimento, si trova infine ad essere persino condannato a morte.
Analogo sgomento si percepisce nelle pagine del numero di Dylan Dog attualmente in edicola: La macchina umana. In questo caso Dylan Dog si trova a lavorare come impiegato in una grande azienda, la Daydream, che impone ritmi di lavoro logoranti ai lavoratori e li vessa in continuazione, chiedendo straordinari e punendo con durezza chi non rispetta le regole. Chi lascia per primo il posto di lavoro deve compilare pacchi di scartoffie e chi arriva in ritardo, anche di un solo minuto, deve scontare facendo lunghi turni di lavoro extra in una stanza provvisoria, una sorta di cella di isolamento dove si svolgono lavori forzati per recuperare le pratiche inevase.
Il nostro Dylan, immemore di essere stato l'investigatore dell'incubo, si barcamena in questa situazione paradossale e in questo mondo governato dal consumismo, in cui i lavoratori sono solo numeri, quasi fossero rinchiusi in un campo di concentramento.
Per una volta l'horror non sta tanto nei vampiri o nei mostri assortiti che il nostro eroe affronta di solito, ma nel lavoro che snatura l'uomo e lo rende succube. In quel mondo diviso tra delatori e asserviti, Dylan troverà nella giovane Kalyn una possibile ancora di salvezza, che purtroppo si rivelerà illusoria.
Un Dylan Dog che mi ha colpito e mi ha fatto anche riflettere un po', che non è male.
Il richiamo a Kafka ci sta tutto, anche perchè sappiamo che è un autore che ha influenzato molto la scrittura di Tiziano Sclavi, ideatore di Dylan, e che sicuramente trapela anche dalle parole di Alessandro Bilotta, autore dei testi di questo racconto (illustrato da Fabrizio De Tommaso).
Se vi capiterà di leggerlo, fatemi sapere cosa ne pensate.
Di certo è un po' fuori dagli schemi tradizionali della serie.


venerdì 29 aprile 2016

Curiosità letterarie: libri famosi e best-seller “clonati” e parodiati



Sapete che esiste una saga che abbina le opere di Jane Austen agli zombie? Oppure che, invece che al Signore degli anelli, potete appassionarvi al “Signore dei tortelli” o allo “scrobbit”? Oppure, per i più golosi, perchè non preferire Il Codice gianduiotto al ben più noto Codice da Vinci? 
E' cosa nota che il successo espone a parodie, imitazioni, riferimenti più o meno curiosi. Certo è che gli esempi mostrati sopra meritano di essere citati, almeno a titolo di curiosità. Vi presentiamo alcune copertine, i riferimenti bibliografici e alcune note sulla trama. Buon divertimento!






Orgoglio e pregiudizio e zombie (Pride and Prejudice and Zombies) è un romanzo del 2009 di Seth Grahame-Smith che unisce il classico Orgoglio e Pregiudizio (1813) di Jane Austen con elementi tipici dell'horror (in particolare gli zombie). Jane Austen, in copertina, viene accreditata come coautrice del romanzo.
Il romanzo segue la trama originale di Orgoglio e pregiudizio, ma tutta la vicenda si svolge in un universo alternativo in cui l'Inghilterra di inizio Ottocento è infestata da zombie assassini.






Il Codice gianduiotto di Bruno Gambarotta (Morganti editori 2006)
La vicenda si snoda tra una fitta rete di intrighi e mette in scena anche lo scontro tra due Confraternite ai ferri corti e precisamente: la Confraternita del Gianduiotto di antichi natali e, la più recente, Confraternita delle Merendine.
“La Confraternita del Gianduiotto è stata proclamata ufficialmente nel 1808. Secondo un verbale segreto che all’Archivio Storico della città di Torino mostrano a cani e porci, ne facevano parte praticamente tutti gli uomini che hanno fatto il Risorgimento, a partire da Cavour fino all’ultimo degli uscieri di Palazzo Carignano.
Unica eccezione il Re Carlo Felice il quale, quando gli fecero la proposta di entrare a farne parte, rispose con una frase passata in proverbio. Disse: “Non voglio fare la figura del cioccolataio!”.






Il Signore dei tortelli di Joey Luke Bandini (Edizioni Clandestine, 2005)

Il giovane Frisbee, nipote dello scrobbit Cribbio Jogging, viene reclutato dallo stregone Don Gandalfano per partecipare a una mirabolante avventura che lo porterà ad affrontare mille pericoli. Lo accompagnano tre suoi amici: Pippo detto Giuseppe; Ugo detto Venerdì e Felice, per gli amici Felix. Inoltre, Tiger Jack, l'elfo di Mithrilado, Ghibli, il nano di Inzurciùo e due uomini: Archenteron detto Gambelunghe della nobile stirpe dei re nomadi, e Borborigm, l'erculeo guerriero. Riuscirà il nostro eroe a portare a termine la sua pericolosa missione segretissima e tornare a casa sano e salvo assieme ai suoi amici?

mercoledì 27 aprile 2016

Qui giaccio: un serial killer che si ispira a un Canto di Nietzsche




Roma. Il Cimitero Monumentale del Verano è teatro di una serie di omicidi efferati, opera di un serial killer, un imbalsamatore, che opera secondo antichi rituali di cui pochi sono a conoscenza e che, prima di ogni omicidio, recita gli inquietanti versi di una composizione di Nietzsche, il “Canto del Capraio”, che inizia con la formula: 
 “Qui giaccio, malato nelle viscere -
Le cimici mi divorano. E da lassù
Ancora luce e chiasso:
Lo sento, ballano”.
Le indagini, che si rivelano complesse fin da subito, vedono all'opera il commissario Giacomo Negri e Tom Sermon, celebre coroner di Winnipeg, capitato nella capitale, in verità, per godersi qualche giorno di vacanza e costretto, suo malgrado, a impegnarsi in uno dei casi più complessi e pericolosi della sua carriera.
Questi alcuni elementi della trama di “Qui giaccio” di Luigi Schettini (Golem edizioni, 2015), un libro avvincente e agghiacciante, ideale soprattutto per gli amanti del genere, che ti prende dalle prime pagine e ti avvolge, in un crescendo di colpi di scena. Il suo maggior pregio è proprio questo, ed è anche magari il suo limite, quello di essere un libro sconsigliato a chi è di stomaco debole, cosa comune, peraltro, a molti libri di genere thriller e horror.
Dice bene Asia Argento nella prefazione al libro: “La componente psicologica che fa da “colonna sonora” al romanzo è indiscutibilmente il panico, del quale Schettini sembra aver intrapreso un attento ed efficace studio durante la stesura, al fine di suscitarlo al meglio”. L'autore orchestra in modo efficace la trama e ci consegna un libro ben strutturato, in cui domina la figura del protagonista, il serial killer che imbalsama vive le proprie vittime e che, a intervalli regolari, troviamo in scena a parlare in prima persona, e questo crea un effetto notevole sul lettore e lo tiene legato alla pagina, accrescendo la sua curiosità, anche perchè man mano emergono suoi ricordi e riflessioni, che permettono di ricostruire aspetti della sua personalità.
Con un sapiente alternarsi di passato e presente, Schettini ci accompagna verso il finale, che rivela la presenza di intrighi e segreti che coinvolgono le alte sfere della Chiesa, adottando una prosa cinematografica, che si presterebbe bene alla trasposizione sul grande schermo.
Luigi Schettini nasce a Roma nel 1989. E' giallista ma anche insegnante/coreografo hip-hop e attore. Scrive storie da sempre e, all'età di 17 anni, ha dato vita al suo primo romanzo. “Qui giaccio” ha superato le selezioni per il programma RAI “Masterpiece”, dal quale è poi stato escluso poiché si richiedeva che l'autore fosse inedito.




lunedì 25 aprile 2016

Beatrice, il social che difende l'italiano (su L'Espresso)






Sapete che esiste un social network dedicato espressamente alla difesa della lingua italiana? No?
Si tratta di un'iniziativa della Società Dante Alighieri. Ne parlo sul mio blog "Letture Social" su L'Espresso.
Se volete saperne di più, ecco il link.

A presto!

Letture Social: il mio nuovo blog su "L'Espresso"









E' cominciata una nuova bellissima avventura. Ringrazio L'Espresso e chi dirige il suo sito, M. Pratellesi, per avermi dato questa opportunità. 

Gestirò un nuovo blog, "Letture Social", in cui parlerò di letteratura e soprattutto di social network. Seguitemi!

Per essere indirizzati al blog, cliccate qui: 


A presto amici! 

giovedì 14 aprile 2016

La Rancura: l'eterna sfida tra padri e figli, tra rifiuto ed emulazione



Un titolo particolare, un parola sola, incisiva, che si staglia sulla pagina: Rancura. Un termine colto, raro, usato da Eugenio Montale per descrivere un sentimento che molti figli provano, o hanno provato, nei confronti del padre, per misurarsi con lui, per capirlo, per raccoglierne l'eredità. Un romanzo interessante, “La rancura” di Romano Luperini (Mondadori, 2016) che, seguendo questa suggestione, ci porta ad attraversare quasi tutta la storia del '900, attraverso le vite di tre protagonisti, nonno, figlio e nipote, per intendersi, e che nella sostanza rappresenta soprattutto la storia dei rapporti tra padre e figlio, via via rivisti e interpretati in modo diverso.
A seconda di chi troviamo in scena, infatti, lo stesso personaggio assume varie sfaccettature, è uno, nessuno e centomila, per ricorrere a un facile paragone pirandelliano. Ogni personaggio è, nelle pagine del romanzo, quello che gli altri ritengono che lui sia.


Si pensi a Luigi Lupi, il primo protagonista, maestro elementare e figlio di contadini, che dopo l'8 settembre combatte in Istria alla guida di una formazione partigiana, vivendo giorni di gloria in una zona di confine purtroppo segnata da crimini di guerra e dall'incubo delle foibe. Croce al valor militare e citato in diversi libri sulla guerra partigiana, agli occhi del figlio risulterà invece una figura ingombrante, con cui fare i conti, conti che non si risolveranno mai del tutto, in verità.
Anche le vicende della Resistenza, agli occhi del figlio Valerio, assumeranno un'ambivalenza di fondo, tra curiosità e rifiuto. Quei fatti “di cui avevo spesso sentito parlare, con curiosità da bambino, con indifferenza ostentata e ostile più tardi”.
Valerio è il secondo protagonista. Un'adolescenza difficile, sotto il controllo di un padre così, ingombrante e ossessivo, difficile da capire.
Romano Luperini
Luperini ci consegna passi di alta leggibilità e alto livello e, seguendo la crescita di Valerio, sembra di risentire certi stilemi di Elsa Morante e della sua “Isola di Arturo”. La letteratura permea le pagine ed emerge, a intervalli regolari, delineando l'educazione di questo ragazzo che, pian piano, diventa uomo. Da Lady Chatterley al Montale della “Bufera ed altro” al Gattopardo, fino allo sbocco naturale dell'impegno politico, in un momento storico in cui le ideologie erano molto forti ed era difficile non farsene affascinare, e che lo porteranno a partecipare al Sessantotto e, poi, al tentativo di creare in Italia un partito rivoluzionario negli anni di piombo. 
Quegli anni segneranno anche la rottura definitiva con il padre, che vedeva nelle loro idee quanto c'era di illusorio e avventato.
E intanto la vita prosegue, tra un matrimonio con poco amore, l'amante, e la nascita del figlio Marcello. C'è ancora il tempo di riavvicinarsi al padre, quando ormai è troppo tardi, dopo una vita intera passata a tratti a rifiutarlo e a tratti ad emularlo.
Il terzo protagonista è Marcello, figlio di Valerio. Siamo ormai ai nostri giorni (2005) e, ancora una volta, si tratta di fare i conti con la figura del padre. Questa volta i conti si fanno soprattutto a distanza, attraverso la lettura dei quaderni che lui ha lasciato nella casa di campagna. Ancora una volta emerge un uomo diverso dai ricordi del figlio, e la figura del padre risulta smitizzata: “che lui fosse così non se lo aspettava. Anche questa volta era riuscito a spiazzarlo”.

Eugenio Montale: a lui si deve il termine "Rancura"
Il volume di Luperini ha una costante, che è quella di mostrare un rapporto padre-figlio sempre, o quasi, mediato dalla lettura di memorie, diari, quaderni di annotazioni, quasi che il padre lo si possa capire davvero solo così, attraverso la mediazione della narrazione, più che nei pochi e scarsi dialoghi. D'altronde, forse tutto è davvero sintetizzato dalla parole di Marcello che vi consegniamo come conclusione: “Sempre la stessa sfida, fra me e lui e anche fra lui e il suo, di padre, e così via. Come se ci fossero dei cicli naturali obbligati che si ripetono eguali attraverso i secoli, di generazione in generazione, dall'Edipo dei Greci alla “rancura” di Montale”.

domenica 10 aprile 2016

Un libro auto-pubblicato allo Strega! (Ne parlo su Gazzetta di Parma)




Il libro di Riccardo Bruni, “La notte delle falene”, è candidato al Premio Strega 2016. Dove sta la notizia, direte voi? 
Riccardo Bruni si è auto-pubblicato per “Amazon Publishing”. E' una cosa fuori dal comune.

Ne parlo su Gazzettadiparma.it (clicca qui)

martedì 5 aprile 2016

Curiosità letterarie: Galeotto fu il libro...





Nel famoso quinto canto dell'Inferno, nel girone dei lussuriosi, Dante Alighieri incontra Francesca da Rimini che gli racconta del suo amore adulterino per Paolo Malatesta. Un amore scoppiato mentre i due stavano leggendo "per diletto" il libro che narra le vicende di Lancillotto e del suo amore per Ginevra. Erano soli e senza alcun timore di innamorarsi. Più volte la lettura li spinse a cercarsi con gli occhi e a impallidire. Ma solo un punto fu quello che li vinse:


Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.

(Dante, "Divina Commedia", Inferno, canto V)


Il passo, come dicevamo, è molto famoso, e tutti o quasi lo abbiamo studiato e amato. 
La parola "Galeotto", però, merita un approfondimento e nasconde diverse curiosità. 
Dicendo "Galeotto fu il libro" risulta chiaro che si intende che il libro fu il vero responsabile di questa relazione "pericolosa", che poi porterà alla morte dei protagonisti. Forse è meno noto che "Galeotto" (in francese Galehault o Galehaut), però, è anche il nome di un personaggio presente in vari romanzi del ciclo bretone e, guarda caso, fu proprio colui che favorì l'amore tra Lancillotto e Ginevra, agendo quindi da intermediario. 
Ancora meno noto è il fatto che anche il Decamerone di Boccaccio ha a che fare con la parola "Galeotto". 
Scriveva infatti Boccaccio: "Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato Prencipe Galeotto". Con questa designazione lo scrittore intendeva dire che il suo libro potrà aiutare il lettore nelle sue pene d'amore, come Galeotto fu d'aiuto a Lancillotto.
L'altro significato comune della parola "galeotto", ossia ergastolano, condannato ai lavori forzati, deriva da "galea", ossia un particolare tipo d'imbarcazione su cui vi erano rematori condannati a remare per punizione.

Vi piacciono queste curiosità letterarie?
Fatemi sapere e, se volete, lasciate un commento.
Magari suggeritemi quali argomenti vi interessano di più! Grazie! 

domenica 3 aprile 2016

La morte di Gallieno Ferri: Addio grande Maestro!




Ci sono persone che ci accompagnano nel corso della nostra vita, fin dall'infanzia, avvolti nella magia delle pagine dei libri, del Cinema o dei fumetti. Persone che, proprio per questo, sentiamo vicine, come se fossero amici, amici che crediamo saranno sempre al nostro fianco, quasi fossero immortali. Leggere della morte di Gallieno Ferri mi ha fatto questa impressione. Ferri è come Zagor, mito ed eroe della gioventù, eterno e sempre giovane. Nel mio caso, la notizia si colora di ancora maggiore rammarico, perchè io Gallieno Ferri ho avuto la fortuna di incontrarlo anche di persona, esattamente due anni fa, e nell'incontro personale la sua figura non ha perso smalto, perchè Gallieno si è rivelato un grande anche nella vita, non solo nell'arte. 
Un uomo di antica signorilità, dai modi garbati, cortesi, con cui sedersi al tavolo di una trattoria e parlare di tutto, non solo di Zagor, senza imbarazzi, perchè era una persona alla mano, senza superbia, che non si atteggiava, nonostante fosse uno dei più grandi disegnatori viventi del fumetto popolare.
Lo avevamo contattato per un pubblico incontro a Borgotaro, dove aveva alcuni lontani parenti, e aveva risposto subito di sì, con grande entusiasmo, e ci aveva ringraziato. Sì, lui aveva ringraziato noi, che non pensavamo neppure fosse possibile avere come ospite un personaggio del suo calibro.
Era giunto in macchina e si era presentato nel salone dell'incontro con un certo anticipo. Alto, distinto, con un largo cappello sulla testa. Si era scusato dicendo che si stava curando da un brutto male e aveva perso i capelli. Un uomo energico eppure dolce, che ha accolto con disponibilità le domande del folto pubblico accorso quel pomeriggio a Borgotaro da ogni angolo della provincia e oltre. Ricordo ancora le domande che gli ho rivolto in quell'occasione e l'onore che ho avuto di sedermi al suo fianco. 
Avevamo pensato di rivederci ancora, per un'altra presentazione, e lui pensava di ritornare in occasione di una Fiera del Fungo, ma purtroppo non è stato così.
Oggi, piangendo la sua scomparsa, una marea di immagini mi tornano alla mente, le tante copertine bellissime, le atmosfere cupe di certi Zagor degli anni 70/80 in cui dava il meglio di sè, in cui gli stati d'animo del personaggio trasparivano anche solo dagli occhi del protagonista, delineati con una maestria che non ha più avuto eguali. E poi la copertina dello Zagor in edicola questo mese, appena comprata, con Zagor e Cico che incedono e si avventurano nell'ennesimo mistero. 
Un'altra copertina da incorniciare, come da oltre 50 anni a questa parte, dal primo numero fino ad oggi, oltre 600 albi. Sarà difficile abituarsi a un'altra mano, a uno Zagor senza Gallieno. 
Perchè Gallieno Ferri era Zagor, e Zagor era Gallieno Ferri.