Analogo ruolo possono avere, in questo senso, anche i
social, quando gli utenti vengono opportunamente stimolati da hashtag a tema.
Si pensi al successo di #classicidaleggere, che qualche anno fa ha costruito
una sorta di canone basato sui giudizi dei lettori comuni.
Nel caso in questione, questo libro di Paul Verlaine è
utile per comprendere meglio la figura del poeta francese ed è senza dubbio un
classico "da leggere". Verlaine, in queste pagine, si smarca dall'immagine
ormai consolidata di poeta maledetto, a cui si deve la definizione di
decadentismo, contenuta nella sua famosa poesia "Languore", e nel verso
emblematico "Sono l'impero alla fine della decadenza". Allo stesso modo si
allontana un po' dall'immagine di bohemien, amante di Arthur Rimbaud, per cui
aveva abbandonato la moglie.
Non che questi aspetti vadano negati o rinnegati, ma dalle pagine emerge una personalità molto più complessa, ben difficile da catalogare o valutare all'interno di una scuola o di un movimento letterario. Anche perchè lo ritroviamo qui in veste di prosatore e non di poeta, e ci consegna una prosa ironica, spesso divagante, ma ricca di cultura. Scritti in terza persona, questi racconti vagano tra l'esperienza di paziente d'ospedale e quella di viaggiatore e conferenziere. Il poeta, come spesso si definisce, non si prende troppo sul serio, e ci racconta anche certe dinamiche della società del tempo, le rivalità letterarie, il successo a cui non corrisponde un'adeguata retribuzione, ma anzi anni di "miseria nera" e di disperazione.
Traduzione e cura del volume sono di Michela Landi, docente di Letteratura francese all'Università di Firenze, che ho conosciuto a Parma in occasione della presentazione del volume.
(Rielaborazione di un articolo che ho scritto per il blog Letture social de L'Espresso nel 2017)
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