sabato 9 marzo 2024

Marcel Proust avrebbe pagato per avere buone recensioni. Lo rivela il Guardian.

 


È 
difficile imporsi nel mondo letterario, ritagliarsi un proprio spazio e ricevere buone recensioni. Questo si sa. Non solo oggi, ma anche nel passato. Anche gli scrittori destinati a diventare “classici” della letteratura non hanno sempre avuto successo, nel corso della loro carriera e, talvolta, hanno usato metodi non proprio ortodossi per incrementare le vendite dei loro volumi. Basti pensare al giovane Gabriele D'Annunzio che, per promuovere il suo primo libro di poesie, “Primo vere”, fece pubblicare la falsa notizia che l'autore era morto cadendo da cavallo. Analogo espediente era stato quello usato da Olindo Guerrini che per far parlare del suo volume “Postuma” si inventò addirittura che fosse opera di un cugino, Lorenzo Stecchetti, regolarmente morto in giovane età, pure quello, per tisi.

Stupisce comunque, nonostante queste premesse, la notizia battuta qualche anno fa dall'agenzia di stampa Ansa e quindi senza dubbio degna di considerazione, che riguarda Marcel Proust. L'autore amatissimo della “Ricerca del tempo perduto” avrebbe pagato i giornali del suo tempo per avere buone recensioni del primo volume della “Recherche”, “La strada di Swann”. In occasione della vendita a Parigi di un raro esemplare di quel volume, infatti, una serie di lettere rivelarono che usò metodi non proprio ortodossi per garantire una buona accoglienza al suo volume.

Il Guardian on-line, importante giornale britannico, rivela che “le scriveva lui stesso e le faceva battere a macchina dal suo editore, affinchè non ci fossero tracce della sua scrittura”.

Le lettere in cui si parla di queste recensioni sono state messe in vendita, insieme ad altri scambi epistolari, dalla casa d'aste Sotheby's. Lo scrittore avrebbe pagato 300 franchi, in particolare, per un riferimento in prima pagina su “Le Figaro”.

Queste rivelazioni non tolgono nulla al valore letterario dell'opera. Semmai ci dicono del forte desiderio di affermazione dell'autore che, però, non ci fa una gran bella figura.

Che ne dite lettori?

martedì 5 marzo 2024

Quegli anagrammi nascosti nella Gioconda americana di Leonardo

 



Che l'opera di Leonardo da Vinci sembri celare continui  misteri, veri o presunti, è cosa nota. Che si tratti di interpretazioni alternative dei suoi quadri, come ha teorizzato il celeberrimo “Codice da Vinci” di Dan Brown, oppure di codici o lettere nascosti negli occhi della Gioconda, certamente il genio di Leonardo ci riserva costanti sorprese e stimola continuamente la nostra intelligenza, spesso spaesata di fronte a un genio che sapeva padroneggiare tante arti e, sia detto con il massimo rispetto, spesso si divertiva anche a “giocare” con i suoi committenti e con la società del tempo.
Un'ulteriore conferma a questa affermazione, è venuta, qualche tempo fa, da un'incredibile scoperta fatta analizzando un'opera leonardesca, la cosiddetta “Gioconda americana”, esposta alla National Gallery di Washington.
Sul retro del ritratto, che raffigura Ginevra Benci, figlia di un ricco banchiere che stava per convolare a nozze, c'è infatti un motto latino: “Virtutem forma decorat”. Questa frase, secondo la studiosa italiana Carla Glori, rivela, anagrammandola, 50 frasi leonardesche che, messe insieme, raccontano la storia della protagonista del ritratto. La chiave che ha permesso alla ricercatrice di risolvere l'enigma è stata l'aggiunta a “Virtutem forma decorat” della parola “iuniperus”, ossia il ramo di ginepro che, guarda caso, compare al centro del motto. Le 50 frasi anagrammate che ne escono raccontano perfettamente la vicenda di Ginevra e del suo matrimonio con Luigi di Bernardo Niccolini, un vedovo di molti anni più grande di lei. Non proprio un matrimonio d'amore, questo, se è vero quel che emerge dalle successive ricerche. 
Dal racconto “riscoperto”, infatti, si evince che Ginevra amava un altro uomo, l'ambasciatore veneziano Bernardo Bembo. Analizzando con i raggi infrarossi il motto della fanciulla si scopre che, sotto a questo, se ne trova un altro, “Virtus et honor” che, neanche a farlo apposta, è il motto del Bembo. Analogamente, con la stessa tecnica, si è rinvenuta sotto al primo simbolo una ghirlanda, simbolo nobiliare dello stesso Bembo. Dal racconto emergono le frasi di repulsione della donna e l'angoscia della fanciulla in vista del matrimonio non voluto.
Bernardo Bembo
Leonardo sembra aver voluto raccontare la vera storia di Ginevra celandola ai contemporanei, quasi però con la certezza che i posteri l'avrebbero compresa. Ancora una volta rimane lo stupore e l'ammirazione per il suo genio.
Concludo con una provocazione, pur sapendo che difficilmente troverà accoglimento.
Perchè non pensare a una serie di studi seri e mirati alla ricerca dei segreti ancora celati dall'opera di Leonardo? Lo studio di Carla Glori apre delle prospettive interessanti anche per la ricerca italiana. Perchè non proseguire su questa linea, invece di lasciare questi temi solo nelle mani degli scrittori e dei romanzieri? L'opera di Leonardo ha ancora molto da dire.

lunedì 4 marzo 2024

Il nascondiglio di Anna Frank fu scoperto per “caso” o fu davvero tradita?

 


Come fu scoperto il nascondiglio di Anna Frank? La tesi più accreditata è sempre stata quella di un traditore, di una spia che ne avrebbe rivelato l'ubicazione precisa. Un mistero, da sempre irrisolto. Qualche anno fa, precisamente del 2016, la pubblicazione di uno studio del ricercatore Gertjan Broek ha gettato nuova luce sulla vicenda. Analizzando fonti già note e scovandone di nuove, giunge alla conclusione che la famiglia di Anne Frank fu scoperta per caso e non per un tradimento, come si è sempre creduto. La notizia, ritenuta valida anche dalla fondazione olandese che gestisce la casa-museo di Anna, è riferita dal sito web DutchNews, ed ha fatto rapidamente il giro delle redazioni.

Come noto a tutti, la famiglia Frank, dopo essersi rifugiata ad Amsterdam, aveva trovato rifugio in un “alloggio segreto” al numero 263 di Prinsengracht, collocato nella casa retrostante la ditta diretta dal padre Otto. L'ingegnoso nascondiglio aveva permesso a loro e ad un'altra famiglia, i van Pels, di sfuggire alla cattura dal 5 luglio 1942 al 4 agosto 1944. Qui Anne aveva tenuto il suo famoso diario, ricco di riflessioni e di considerazioni così profonde e mature da farne uno dei simboli della letteratura della memoria. Il 4 agosto 1944, come detto, il nascondiglio fu scoperto. La Gestapo fece irruzione nell'alloggio segreto, a seguito della segnalazione di una persona mai identificata. Questo, almeno, quello che si è sempre creduto. Varie le ipotesi fatte, nel corso degli anni, da storici e scrittori per identificare il delatore, che non hanno mai portato ad accuse provate.

Oggi cade anche l'unica certezza che sembrava assodata, quella che si sia trattato effettivamente di un tradimento. Lo studio di Broek rileva che la perquisizione sarebbe avvenuta nell'ambito di controlli legati all'impiego illegale di tessere annonarie, nel corso del quale la famiglia Frank sarebbe stata scovata “casualmente”. Lo studio sottolinea che alcuni degli ufficiali nazisti coinvolti non sapevano di dover cercare degli ebrei, mentre uno di loro sarebbe stato proprio operante su reati economici. Se questa fosse la verità, sconvolge il ruolo che il destino ha avuto nella conclusione della vicenda umana di Anne e della sua famiglia. Pensare che a far fallire il piano straordinario dei Frank, che stavano sfuggendo alla violenza e alla morte della shoah con il loro ingegno, sia stata una tragica “casualità” fa ancora più male. 

Nel 2022, però, l'uscita del libro "Chi ha tradito Anne Frank" di Rosemary Sullivan sembra ribaltare ancora le cose. Una serie di indagini della durata di cinque anni condotta da un team formato dal videomaker olandese Thijs Bayens, dallo storico e giornalista Pieter van Twisk, e dall'ex agente Fbi Vince Pankoke pare abbia rivelato addirittura il nome del traditore. Si chiamava Arnold van den Bergh, ed era un famoso notaio ebreo di Amsterdam. Sarebbe stato lui a rivelare il nascondiglio di Anna, giovanissima vittima dell'Olocausto resa celebre dal diario intimo scritto durante l'occupazione nazista dell'Olanda nella Seconda Guerra mondiale. Lo avrebbe fatto, si scopre quasi 80 anni dopo, per garantire la sicurezza della propria famiglia. Sarà davvero così?

Certo è che, a parte Otto Frank, nessuno di quella famiglia sopravvisse ai campi di sterminio. Ci resta il Diario della piccola Anne, che sognava di diventare un giorno scrittrice e giornalista, che ci aiuta a non dimenticare e che ci deve far riflettere, non solo il 27 gennaio.

 

domenica 7 gennaio 2024

Il Conte di Cavour da giovane, un aspetto poco studiato della vita del grande statista




Otto von Bismarck, riferendosi al secolo diciannovesimo, in cui vissero entrambi, dichiarò Cavour “il più grande statista europeo”. Tuttavia, quando si parla di Camillo Benso, conte di Cavour, appunto, ci si riferisce sempre, o quasi sempre, al cosiddetto “decennio cavouriano”, ossia quegli anni che vanno dal 1850 alla sua prematura scomparsa. Gli anni, cioè, in cui rivestì un ruolo decisivo nel portare a realizzazione concreta quel percorso di unificazione italiana che sembrava, fino a pochi anni prima, non altro che una effimera chimera.

I libri di storia si soffermano lungamente sulle doti strategiche del conte, e sulla capacità di coinvolgere Napoleone III nell'impresa italiana, avvalendosi di vari sotterfugi, tra cui l'abilità della cugina Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, la cui relazione con l'imperatore dei francesi risulterà decisiva per la causa italiana. Cavour, che già aveva sostenuto francesi e inglesi nella guerra di Crimea con l'invio di un contingente militare piemontese, riuscì, grazie all'appoggio della Oldoini, ad ottenere un incontro segreto con Napoleone presso la cittadina di Plombières. In quell'occasione, il conte otteneva l'appoggio dei francesi contro il nemico austriaco, purchè questi ultimi avessero attaccato per primi. Come noto, quell'accordo gettò le basi per la vittoriosa Seconda guerra d'indipendenza.

Poco noti, e poco scandagliati dagli storici, sono invece i primi quarant'anni di vita del grande statista, quelli precedenti alla sua stagione “politica”.

A trattare di quel periodo, importante per approfondire la sua figura storica, contribuisce oggi il volume “Cavour prima di Cavour” (Rubbettino editore, 2021) di Franca Porciani, giornalista e scrittrice, per molti anni firma del “Corriere della Sera”.

Che faceva dunque il conte durante la sua giovinezza?

Fu un uomo del suo tempo, un imprenditore agricolo che, pur essendo figlio cadetto, e quindi escluso dal patrimonio della sua ricchissima famiglia, seppe distinguersi nell'amministrazione delle tenute di Grinzane (Cuneo) e Leri (Vercelli), modernizzando i metodi di produzione del vino e del riso. Seppe anche godersi la vita, si direbbe oggi, visto che viaggiò a lungo e amò diverse donne, una delle quali, la genovese Anna Giustiniani, detta “Nina”, giunse anche al suicidio per lui.

Un centinaio di pagine in cui Franca Porciani ci accompagna, a metà tra il reportage giornalistico e la ricerca storica, alla conoscenza di un personaggio di cui ci rendiamo ben presto conto di conoscere ancora poco, ben diverso dal “Cavour” cristallizzato dai libri di storia, a cui siamo abituati.

domenica 10 settembre 2023

Storie dei santi: Santa Rita da Cascia

 


Santa Rita nacque a Roccaporena, nel cuore dell’Umbria, in un paesello nel comune di Cascia nel 1377 e a Cascia si conservano ancora oggi le sue spoglie mortali. E' un simbolo di pace, oggi come ieri, perchè ha sofferto tanto e perdonato sempre. Tornando a Santa Rita, era nata da genitori anziani, che l’ebbero dopo 12 anni di vane attese. I suoi genitori erano coltivatori diretti, visto che possedevano la casa e la terra che coltivavano. Erano chiamati “pacieri”, poiché, quando qualcuno discuteva, loro avevano il compito di intervenire e risolvere dispute e contrasti di ogni genere. Era il tempo dei Guelfi e dei Ghibellini ed era molto importante la mansione di questi pacieri, perché impedivano che questi contrasti degenerassero in violenze ed omicidi. Rita intanto cresceva e, già da piccola, desiderava consacrare la sua vita al Signore, ma i suoi genitori ormai anziani decisero di farla sposare a un giovane di nome Paolo Mancini, che era di buona famiglia. Paolo, infatti, era un giovane ufficiale, forse Ghibellino, che comandava la guarnigione di Collegiacone, nei pressi di Roccaporena. Si sposò a 14 anni, nella chiesa di San Montano a Roccaporena. Ella dovette scontrarsi col carattere duro del marito e non fu un’unione facile. Suo marito era nervoso, violento, forse ubriacone, giocatore di dadi, amante di cavalcate e ne combinava di tutti i colori alle popolazioni limitrofe e, coi suoi uomini, saccheggiava e faceva soprusi. Rita seppe cambiarlo e, con amore e pazienza, ricondurlo ad essere un uomo nuovo, più appassionato e dolce con lei e migliore col popolo. Nacquero poi due gemelli, Giangiacomo e Paolo Maria. I figli contribuirono a rinsaldare la famiglia e la serenità durò per 15 anni. Anche il marito di Rita, ormai dimentico del passato, viaggiava disarmato, credendosi tranquillo. Una sera dell’anno 1405, vicino al mulino di Remolida da Poggiodomo nella valle, sotto le balze del Collegiacone, venne ucciso in un agguato, forse per vendetta nei confronti di qualche sopruso commesso da lui in passato. Lo fecero sapere a Rita, che giunse disperata insieme ai figli e subito nascose la camicia insanguinata del marito, prima che i suoi figli la potessero vedere. E, pur sapendolo, non disse mai loro il nome dell’assassino del padre. Ma loro lo vennero a sapere comunque dalle voci di paese e giurarono che, appena possibile, avrebbero vendicato la sua morte. Allora Rita pregò con tutte le sue forze Gesù con queste parole: “Non permettere che le anime dei miei figli si perdano, ma piuttosto toglili dal mondo, io te li dono, fa’ di loro secondo la tua volontà”. Un anno dopo, e siamo nel 1406, un terribile morbo - forse la peste - causò la morte dei figli di Rita. Triste e sola, Rita decise allora di dedicarsi solo a Dio ma venne varie volte rifiutata, perché “vedova di sangue”. Per le suore, infatti, era troppo rischioso accoglierla. Però, dove difetta l’umano, a volte intercede il divino. Si narra che dopo aver pregato sullo scoglio, Rita ebbe la visione dei suoi tre santi protettori: Sant’Agostino, San Giovanni Battista e San Nicola da Tolentino, che la trasportarono di notte dentro il monastero di Cascia, che aveva le porte e le finestre chiuse a chiave. Il mattino dopo le suore del monastero, visto il miracolo, finalmente si convinsero ad accoglierla, e divenne monaca Agostiniana, nel monastero di Santa Maria Maddalena a Cascia, dove per 40 anni visse fino alla morte, avvenuta il 22 maggio 1447. Ebbe fama di taumaturga, guarendo molte malattie tremende e inguaribili.

Ci furono molti miracoli per mano sua. Il suo Signore, da viva, le aveva donato una spina in fronte, che tenne per 15 anni e che le procurava forti dolori. Gliela aveva chiesta lei, per partecipare al dolore della sua morte in croce. Ma alla morte di Rita si chiuse e si trasformò in una fontana di luce e in soave profumo.

Lo Scoglio di santa Rita
Un altro miracolo si verificò mentre Rita era in convento. Le suore le fecero innaffiare, tutti i giorni, un tralcio di vite secco e ormai inutile, che si trasformò in un grosso vitigno che produceva uva bianca e che ricopre ancora oggi, dopo 600 anni, la facciata del monastero di Cascia. Lo stesso luogo vide il realizzarsi di un altro miracolo: uno strano sciame d’api venne ad abitare nel suo convento, api che non producevano miele, e che seguivano la Santa nel suo passaggio. Anche quelle api ci sono tuttora.

Ancora più famoso è un altro miracolo che avvenne in occasione della sua morte: il miracolo dei due fichi e della rosa. Mentre stava per morire, Rita chiese ad una sua parente di andare nel suo orto a Roccaporena a raccogliere due fichi e una rosa. Poiché era inverno, questa sua parente credeva che ormai sragionasse. Però, per non contrariarla, si recò comunque a Roccaporena. Immaginate il suo stupore quando vide che, pur con un clima così rigido, era sbocciata una rosa ed erano maturati due fichi. Ella li raccolse e li portò alla santa, che fu chiamata, da quel giorno, “la santa della spina e della rosa”. Santa Rita è conosciuta anche come la "Santa dei casi impossibili" e il calendario la festeggia il 22 maggio.

(Articolo rielaborato da un pezzo di Rita Santini, pubblicato su "La Voce del Taro")

mercoledì 5 agosto 2020

200.000 volte grazie!

E così, a distanza di sette anni dal suo primo post, il blog ha raggiunto le 200.000 visualizzazioni complessive! Un traguardo importante, visto che queste pagine vengono aggiornate senza seguire un piano editoriale e senza date e scadenze precise. Semplicemente, quando ritengo di avere qualcosa da dire, e qualcosa che non mi sembra banale e scontato, scrivo e affido le mie parole a questo piccolo blog che, per me, è anche una piccola oasi di libertà. Come forse sapete, ho un blog anche su L'Espresso e, talvolta, i miei pezzi vengono ospitati anche sulla pagina "Cultura" della Gazzetta di Parma.
Di volta in volta cerco di pensare al pubblico che mi leggerà e, per varie ragioni, certi articoli ritengo non siano adatti ad essere ospitati su quei giornali. Sul "Lettore", invece, mi sento libero di esprimermi e passo agevolmente da un argomento all'altro. 
I collaboratori che scrivono insieme a me, e danno un importante contributo di idee, propongono argomenti e pezzi che si mantengono all'interno delle tematiche del blog. Ritengo così che lo stile complessivo di queste pagine sia uniforme.
Chi mi vuole seguire, è ben accetto. Colgo l'occasione di ringraziare tutti i lettori che, in questi sette anni, hanno dato anche solo un'occhiata distratta a queste pagine. Ma soprattutto ringrazio gli 83 "lettori fissi" e i 30 iscritti alla newsletter. Siete impagabili! A presto, con nuovi articoli! 

lunedì 20 aprile 2020

Il magico potere del riordino da Marie Kondo a casa mia!


Recensione di Amore Moda e Fantasia



Quanti oggetti abbiamo in casa che ci sommergono, non sappiamo più neanche di averli, nascosti in qualche cassetto o in qualche angolo sperduto della soffitta, o del garage? Siamo sicuri che accumulare roba inutile ci serva veramente?
Noi siamo legati alle cose che ci ricordano quando eravamo bambini, il nostro primo regalo, il nostro primo amore, ma quanto ci servono davvero? Come facciamo a capire quando un oggetto che sia esso una foto, un documento, una maglietta è davvero indispensabile?
Quale stile dovrebbe avere la nostra vita?
La giovane trentacinquenne giapponese Marie Kondo, consulente domestica è l’autrice del bestseller internazionale “Il magico potere del riordino - Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita”, di Vallardi Editore. Marie Kondo è nota in tutto il mondo per aver inventato il metodo KonMari, metodo di riordino della propria abitazione, o del proprio ufficio, al fine di renderci felici ritrovando la gioia interiore, utilizzando al meglio i nostri spazi. Di recente Marie Kondo è apparsa in televisione su Netflix in un programma di successo proprio sul riordino.
Lei entra nelle case della gente e cerca di aiutarla a sistemare le loro case e le loro vite.
In Giappone riordinare rappresenta una vera e propria cultura che si apprende naturalmente, da autodidatta. Il riordino si apprende con l’esperienza. Organizzare, pulire gli spazi quotidiani deve diventare un’abitudine. Il lavoro è lungo ma non deve scoraggiare, prima o poi bisogna iniziare e facciamolo subito, senza tappe, senza rimandare. Se c’è disordine in casa ci sarà anche disordine nella nostra vita. Bisogna evitare di diventare “accumulatori seriali”.
Riordinare si può, partendo dalle cose a cui siamo meno legati. Riordiniamo per categoria partendo da:
  1. Vestiti (nell’armadio, nei cassetti)
  2. Libri
  3. Documenti
  4. Foto, cose a cui siamo legati da ricordi o emozioni.
Per Marie esistono tre categorie di disordinati: quelli che non sanno liberarsi delle cose, quelli che non sanno dove metterle, ovvero quelli che oltre a non sapersi liberare delle cose non sanno dove metterle. Il 90% dei suoi clienti rientrano nell’ultima categoria. Tu in quale tipologia di disordine ti identifichi?
Se l’ambiente circostante non ci trasmette caos, anche noi trasmetteremo tranquillità.
Le cose che non servono, quelle che non indossiamo più, i libri che non leggeremo mai o che non abbiamo concluso sono da eliminare secondo Marie Kondo. Ma se le cose hanno per noi un significato, ci trasmettono emozioni anche a vederle, indipendentemente dalla loro utilità, allora ci servono, anche solo al nostro animo. Le cose ci devono piacere. È inutile conservare un pantalone vecchio o una maglietta priva di colore o forma per stare in casa, si può essere femminili anche in casa.
Solo eliminando il superfluo, potremo dedicarci a noi stessi e ai nostri cari. Se migliori la tua casa, il tuo lavoro, migliori anche la tua vita affettiva e magari trovi l’amore. Ogni cosa andrà a posto, trovandone la giusta collocazione. Piegare una maglietta, piegare un calzino diventa un’attività divertente con il metodo KonMari. 
In questo periodo di tempo ne abbiamo, iniziamo a riordinare partendo dagli armadi! GO! 
Buona lettura! Mi trovate anche su Amore Moda e Fantasia