Beccarelli e Tajani (Foto Alessandra Bassoni - valgotrabaganza.it) |
Lo
scorso venerdì 21 marzo abbiamo ospitato, in Biblioteca “Manara”
a Borgotaro, Angelo Tajani, scrittore e giornalista. Nato ad Amalfi,
dopo aver incontrato una svedese, destinata a diventare sua moglie,
emigrerà in Svezia. Tajani ha lavorato per oltre un trentennio nel
settore alberghiero in Italia, Germania e Svezia, dove ha diretto i
più prestigiosi alberghi di Stoccolma. Dagli anni '80 si è dedicato
solo al giornalismo, collaborando con Il Giorno di Milano, Il Mattino
di Napoli, il settimanale Oggi. Suoi articoli sono apparsi anche
sulla Gazzetta di Parma, l'Arena di Verona e diversi settimanali
svedesi. Dal '69 è iscritto all'Ordine dei giornalisti. Nel 1983 ha
vinto il prestigioso Tarì d'oro della città di Amalfi e nel 1988 un
riconoscimento dalla città di Tarsogno (PR).
“Il
miraggio svedese” è, a mio avviso, un libro molto importante.
Un libro che ci riconsegna la memoria di un'emigrazione per tanti
versi anomala, diversa. Non solo perchè la Svezia non era meta
comune degli emigranti italiani, ma anche perchè, come ben
illustrato dall'autore, si è trattato di un'emigrazione per certi
aspetti pilotata, organizzata. E' l'emigrazione di una precisa
categoria, di persone con determinate abilità professionali. Non è
l'emigrazione disperata di chi fugge da una vita di miserie e
privazioni. Chi parte è mosso anche dal desiderio di migliorare i
proprio guadagni, certo, ma è gente che il lavoro in Italia lo
aveva, che si poteva vestire bene, con abiti di ottima fattura e
magari si poteva permettere anche un Borsalino, un lusso per l'epoca.
Quel che emerge chiaramente dal libro è che queste persone si sono
trovate, loro malgrado, al centro di interessi più grandi di loro,
tra i traffici e gli affari di un Agnelli o di un Wallenberg, che si
scambiavano operai specializzati, come fossero pedine. Pedine che
però erano uomini.
Uomini
invogliati a partire da articoli scritti ad hoc sui giornali (si veda
l'articolo apparso sul “Popolo” l'11 giugno 1946), illusi di
trasferirsi nel paese del bengodi, nel paese senza poveri,
ricchissimo di risorse, dove tutti hanno una casa confortevole e
ricchi salari. Tutto questo si rivelerà presto un miraggio, un
miraggio svedese, come giustamente titola il libro: Questi uomini si
sentono ben presto ingannati, con un salario ridotto da altissime
tasse e senza le tutele di cui avrebbero goduto in Italia. Un paese
che, all'arrivo, li sottopone a procedure umilianti di disinfezione,
e poi li accoglie in modo freddo, diffidente. Ma un paese in cui,
pian piano, gli italiani si fanno benvolere, tanto che molti si
sposano e si integrano, pur mantenendo le proprie tradizioni e la
propria lingua.
Soprattutto
è una storia raccolta dalle loro labbra, dalla viva voce dei
protagonisti, dalle tante interviste raccolte dall'autore, che ci
restituiscono le loro storie, i loro ricordi, in un racconto
avvincente, che non può lasciare indifferenti, e che ci riporta alla
memoria i racconti dei tanti parenti e amici del nostro Borgo che
hanno percorso le strade dell'emigrazione e ci hanno spesso ricordato
“com'è amaro il pane dell'esule”...
Massimo Beccarelli